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Francesca Ghermandi

La classifica delle 25 Top Companies in Italia secondo LinkedIn

Top Companies 2024 è la classifica annuale realizzata da LinkedIn esaminando azioni e percorsi di carriera di milioni di professionisti presenti sulla piattaforma tra gennaio e dicembre 2023.
La Top Companies 2024 identifica le 25 aziende italiane che più di altre si distinguono come luoghi di lavoro per la crescita e lo sviluppo professionale.

La metodologia utilizzata include non solo la stabilità, ma anche la diversità di genere di ciascuna azienda, nonché la crescita delle competenze e la capacità di avanzare internamente ed esternamente all’impresa.
Per realizzare la classifica Top Companies 2024, pubblicata dalla redazione di LinkedIn Notizie, i data scientist di LinkedIn hanno condotto un’analisi riguardo ad alcuni temi chiave (ad esempio, cosa significhi riuscire a costruirsi una buona carriera professionale), e li hanno combinati con i dati unici dalla piattaforma LinkedIn.

Quest’anno 11 new entry, e sul podio resta la consulenza

Quest’anno sono undici le aziende che conquistano per la prima volta un posto tra le 25 Top Companies italiane. Tra queste, Hippocrates Holding, Bayer, Campari e BIP.
Rispetto al 2023 la lista si aggiorna di nuove realtà dove poter sviluppare la propria carriera, ma il settore della consulenza aziendale risulta dominante, seguito dall’industria farmaceutica, manifattura e beni di consumo.

Nell’ambito consulenza e servizi aziendali, Accenture e Bain Company, sul podio, seguite da Intellera Consulting e Deloitte, sono tra le conferme del 2023, raggiunte dalle new entry Boston Consulting Group (Bcg) e BIP.

Heineken e Campari per la prima volta portabandiera del Food Beverage

Al fianco della crescita del settore farmaceutico e della salute, che vede Hippocrates Holding, Bayer e Eli Lilly and Company nella Top 25, rientrano i settori manifatturiero e dei beni di consumo, con EssilorLuxottica al 10° posto, Sfk Group al 14°, Procter Gamble e Siemens al 22° e 23°.

Rispetto allo scorso anno, guadagnano posizioni gli operatori del settore bancario-assicurativo, con Intesa Sanpaolo che conquista la vetta della classifica, Unicredit che si conferma stabile (al 7° posto) e Bnp Paribas che si posiziona al 15° posto.
Inoltre, The Heineken Company (19°) e Campari Group (20°) sono per la prima volta portabandiera del settore Food Beverage. 

La lista completa delle magnifiche 25

Ecco la lista completa delle Top Companies Italia 2024, come riporta Adnkronos: Intesa Sanpaolo (1°), Accenture (2°), Bain Company (3°), KONE (4°), Hippocrates Holding (5°), Ferrovie dello Stato (6°), Unicredit (7°), Intellera Consulting (8°), Antares Vision (9°), EssilorLuxottica (10°), STMicroelectronics (11°), LyondellBasell (12°), Bayer (13°) SKF Group (14°), BNP Paribas (15°), Deloitte (16°), Iveco Group (17°), Eli Lilly and Company (18°), The Heineken Company (19°), Campari Group (20°), Cisco (21°), Procter Gamble (22°), Siemens (23°), Boston Consulting Group (BCG, 24°), BIP (25°).

Enoturismo: parola d’ordine, diversificare le esperienze

Nel 2023 l’offerta enoturistica italiana è cambiata rapidamente e le aziende vitivinicole hanno mediamente proposto 6 diverse esperienze o eventi, rispetto a una media del 4,7 nel 2022. Cambiano anche i giorni di apertura e salgono al 78,1% le aziende visitabili di sabato (+30% rispetto 60,3% dell’anno precedente), e il 54,2% delle cantine si sono attrezzate per accogliere visitatori anche la domenica.

Per quanto riguarda le fasce orarie, gli slot delle 11:00 e delle 15:00 restano i più popolari, anche se queste preferenze variano a seconda delle aree vinicole. Ad esempio, nella zona DOCG del Prosecco oltre il 30% delle visite si svolge alle 10:00, mentre in Puglia più di un terzo avviene alle 16:00.
Emerge dal Report Enoturismo e Vendite Direct-to-Consumer 2024, realizzato dall’impresa tecnologica Divinea con il contributo  dell’Università Cattolica di Milano.

Un nuovo fenomeno: la destagionalizzazione

Sono due i fattori che incoraggiano le visite in cantina tutto l’anno, le temperature più miti in autunno e inverno, e un numero crescente di aziende che hanno sviluppato offerte stagionali mirate.

I dati confermano questo trend. Tra marzo, aprile, novembre e dicembre si sono registrate più del 25% del totale delle visite (+4% rispetto al 21% dello scorso anno). Un numero importante che conferma un cambiamento della stagionalità dell’enoturismo, che storicamente si è sempre focalizzato nei mesi che vanno da maggio a ottobre.

Sempre più giovani in cantina

Un altro dato importante è che, in controtendenza rispetto ai dati secondo i quali sono in aumento i giovani adulti che bevono poco o niente (dal 31 al 44%, fonte YouGov), le visite in cantina attraggono sempre più giovani in azienda.
A conferma di ciò, il 43,8% di chi ha prenotato un’sperienza in cantina nel 2023 ha tra 25 e 34 anni, segue la fascia 35-44 e 45-54, rispettivamente con il 23,1% e 15,3%, spesso costituita da famiglie.

Per quanto la nazionalità di provenienza dei visitatori sia fortemente variabile in funzione dei diversi territori vinicoli, nel complesso due terzi dei visitatori in cantina sono italiani e 1 su 10 viene dagli Stati Uniti.
Gli stranieri europei rappresentano circa il 20%, di cui la maggioranza proveniente da Germania, Paesi Bassi, Svizzera e Regno Unito.

Il Direct to Consumer si fa strada nel mondo del vino

I dati del report evidenziano come una strategia ben implementata verso il consumatore finale possa non solo portare ad una crescita significativa delle vendite dirette, ma anche a un incremento, fino al raddoppio, dei margini di vendita delle cantine.
Per quanto riguarda il tema delle vendite dirette in cantina, il 76,5% di visitatori effettua acquisti dopo un’esperienza, testimoniando un aumento rispetto al 73,8% dell’anno precedente. 

Inoltre, lo scontrino medio di un ordine effettuato nel punto vendita in azienda è di 140 euro, +19% rispetto al 2022. Le vendite online non sono da meno, segnalando un incremento del 30% nel valore medio degli ordini e-commerce, che salgono da 141 euro (2022) a 184 (2023).

AI generativa: nel 2024 in EMEA la spesa aumenta di due terzi

Emerge dalla ricerca di Lenovo, contenuta nel CIO PlayBook 2024: It’s all About Smarter AI. Nel 2024 la spesa per l’AI delle aziende dell’area EMEA crescerà del 61%.
Per il 40% di loro l’AI rappresenta un “punto di svolta”, con il 25% degli investimenti destinati all’AI generativa, un altro 25% a quella interpretativa e un ulteriore 25% al machine learning.

Quasi tutte le imprese europee stanno incorporando progetti di AI generativa nelle strategie aziendali, nei processi e nelle offerte. Circa due terzi (57%) hanno già investito in AI e un ulteriore 40% prevede di farlo nel corso dell’anno, mentre solo il 3% non ha intenzione di attivare progetti.

Un interesse che varia tra i settori

Le imprese dell’area EMEA prevedono di implementare strategie di AI nel cloud ibrido (48%) o privato (24%), con solo il 17% che opta per il cloud pubblico, in conseguenza delle rigorose normative sulla privacy dei dati, in particolare nell’Europa continentale.

L’interesse per l’AI varia tra i settori. Le aziende manifatturiere sono le più entusiaste (47%), le telco le meno entusiaste (22%), ma la maggior parte delle aziende di ogni settore ha già investito nell’AI generativa: il 50% delle organizzazioni governative, il 65% telco e il 67% del settore bancario, servizi finanziari e assicurativi (BFSI). 

Tutti i settori, riconoscono l’importanza dell’edge computing nello sviluppo di progetti di AI, con organizzazioni di ogni settore che hanno aumentato gli investimenti (+29% manifatturiero, +60% Tlc).

L’Italia investe di più nell’AI generativa

In Italia si registra la percentuale più bassa (2%) di CIO che ritengono l’AI “una distrazione”. L’Italia, insieme all’Olanda, è il mercato con il tasso maggiore di investimenti in AI generativa già pianificati (68%), media EMEA 56%).
Non solo, l’Italia è il mercato in cui si registrano meno difficoltà ad assumere personale con competenze AI (34%), rispetto a una media nella regione del 55.3%.

Nel 2024, i trend più rilevanti per l’Italia mostrano una crescita del 40% di investimenti in tecnologie edge, di poco superiore alla media EMEA (38%) con i principali investimenti su progetti di AI generativa, modernizzazione delle infrastrutture e piattaforme di HPC.
Inoltre 7 aziende su 10 hanno già pianificato investimenti in Gen AI, il 30% lo farà nel 2024. Solo il 2% non ha in previsione di farne.

Le sfide tecnologiche

Per il 40% delle aziende la più grande sfida tecnologica dell’AI generativa rappresentata dai limiti di capacità dei modelli, seguita dai timori riguardo al potenziale uso improprio della tecnologia e le informazioni errate (37%).
Altre sfide includono la ricerca di una piattaforma dati affidabile (36%) e il ricorso a terze parti (35%) per lo sviluppo dell’AI generativa.

A livello organizzativo, riporta Ankronos, il problema più citato è quello culturale, che riguardava i timori dei dipendenti riguardo allo spostamento del posto di lavoro (40%), seguito dalle sfide IT (45%), inclusa la resistenza da parte dell’IT non abituato a implementare strumenti e tecnologie di AI in continua evoluzione.

AI Act: arriva la regolamentazione europea

Con la maggioranza di 523 voti favorevoli il Parlamento Europeo approva ufficialmente l’Atto sull’Intelligenza artificiale, l’AI Act.
Il via libera dall’Unione Europea alla normativa sull’ AI segna un punto di svolta per il controllo di questa tecnologia. La normativa cerca di bilanciare la promozione dell’innovazione tecnologica con la tutela dei diritti civili e la protezione dei consumatori, ponendo la UE come ‘leader’ nella regolamentazione dell’Intelligenza artificiale a livello mondiale.

Si tratta di una decisone che fa seguito a dibattiti intensi iniziati nel 2021, culminata in una normativa che stabilisce regole stringenti per l’uso dell’Intelligenza artificiale, benché alcune delle proposte più severe siano state mitigate da compromessi dell’ultimo minuto.

Preoccupazione da parte delle big tech statunitensi

L’AI Act mira a proibire sistemi basati su AI per la sorveglianza pubblica di massa e impone restrizioni su sistemi ritenuti ‘ad alto rischio’ per la società, tra cui quelli applicati a infrastrutture critiche, educazione e formazione professionale, e sistemi di applicazione della legge.

La normativa è stata oggetto di dibattito non solo per le sue implicazioni all’interno dell’Unione ma anche per il suo potenziale impatto a livello globale, sollevando preoccupazioni tra le big tech negli Stati Uniti come OpenAI, Microsoft, Google e Meta.
Nonostante le critiche da parte di alcuni stati membri o figure politiche come il presidente francese Emmanuel Macron, che temono possa ostacolare l’innovazione, l’AI Act rappresenta un passo significativo verso la creazione di un quadro regolamentare equilibrato, riporta Adnkronos.

“Ora bisogna concentrarsi sulla sua attuazione”

“Siamo molto soddisfatti del risultato e dell’ampia maggioranza raggiunta – commenta Brando Benifei, relatore all’Eurocamera per l’AI Act e capodelegazione del Pd al Parlamento europeo – ora bisogna concentrarsi sull’attuazione, sugli investimenti, sulla condivisione delle capacità dei supercomputer e sul lavoro con i partner internazionali, per affermare un nostro modello di sviluppo dell’AI che metta l’essere umano davvero al centro”.

Regole severe per i sistemi considerati ad alto rischio

I sistemi considerati ad alto rischio saranno soggetti a regole severe che si applicheranno prima del loro ingresso nel mercato della UE.
Le norme generali sull’AI si applicheranno un anno dopo l’entrata in vigore, nel maggio 2025, e gli obblighi per i sistemi ad alto rischio in tre anni, sotto la supervisione delle autorità nazionali, supportate dall’ufficio creato ad hoc della Commissione europea.

Spetta ora agli Stati membri istituire agenzie nazionali di supervisione. Un portavoce della Commissione ha dichiarato a Euronews che i Paesi hanno 12 mesi di tempo per nominare gli organi di controllo.

Milano, Monza Brianza, Lodi: lo scenario dell’immobiliare a fine 2023

Le rilevazioni sui prezzi immobiliari nel secondo semestre del 2023 indicano un rallentamento delle transazioni nelle zone di Milano, Monza Brianza e Lodi. Questo fenomeno è attribuibile all’incremento dei tassi di interesse e alle maggiori difficoltà nell’ottenere mutui e finanziamenti. Inoltre, si osserva una dilatazione dei tempi delle compravendite. In sintesi, il mercato appare più cauto e la domanda e l’offerta faticano a trovare un punto d’incontro.

La situazione del mercato immobiliare lombardo è emersa dall’ultima rilevazione condotta dalla Commissione Immobili della Camera di Commercio di Milano Monza Brianza Lodi.

Aumentano i prezzi nel residenziale, specie a Monza e a Lodi

I dati analizzati in collaborazione con l’Ufficio Studi di Confcommercio Milano Lodi Monza e Brianza rivelano un aumento dei prezzi nel settore residenziale: +1% a Milano, +2% a Lodi e Monza. Nel dettaglio, si registra una modesta crescita del 2% per gli appartamenti nuovi nella zona sud di Milano, del 4% nel quadrante est di Monza e del 4% nella periferia di Lodi.

A Milano, le quotazioni rimangono stabili con crescite contenute sia nel settore residenziale sia non residenziale, con un prezzo medio di 6.400 €/mq per gli appartamenti nuovi. L’andamento dei prezzi è omogeneo per tutte le zone, oscillando tra +1% e +2%, raggiungendo un massimo medio di 11.671 €/mq nel centro e 4.712 €/mq nella zona sud.

Nel nuovo, a Monza città, il prezzo medio si attesta su 3.228 €/mq, con una crescita più marcata del 4% nella zona est (2.563 €/mq) e incrementi più modesti nelle altre aree, dove i prezzi sono più elevati (5.563 €/mq nel centro storico).

A Lodi, si osserva una crescita del 2% nei prezzi medi delle nuove costruzioni (2.375 €/mq), con un aumento significativo del 4% nella periferia (2.164 €/mq) e prezzi medi di 3.075 €/mq nel centro città.

Discrepanze di aspettative fra chi vende e chi compra

Marco Zanardi, vicepresidente della Commissione Immobili della Camera di Commercio di Milano Monza Brianza Lodi, sottolinea che il mercato sta attraversando un momento di riflessione, con una discrepanza tra le aspettative dei proprietari – che si basano sui valori del 2022 – e quelle dei potenziali acquirenti, che invece sono orientate al ribasso come previsto nel 2024. E’ questa una delle principali ragione dell’allungamento dei tempi delle compravendite.

La diminuzione dei tassi di interesse, però, dalla seconda metà del 2024 potrebbe portare a una ripresa degli acquisti e degli investimenti. Nel frattempo, si assiste a una “migrazione” verso la formula della locazione da parte dei cittadini che non rispondono agli standard attuali delle banche.

Il concetto di “seconda prima casa”

Si nota inoltre un trend di acquisto di immobili fuori città, in località di solito dedite alla villeggiatura dove però risiedere per periodi anche lunghi. E’ il fenomeno della “seconda prima casa”. In questo contesto, i costi più contenuti rispetto a Milano e la qualità della vita favoriscono le quotazioni a Monza e Lodi nelle zone meglio attrezzate sul fronte dei collegamenti e dei servizi. 

Paradosso italiano: meno voglia di lavorare, ma il mercato è dinamico

È quanto emerge dal 7° Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale, realizzato in collaborazione con Eudaimon, e il contributo di Credem, Edison, Michelin e OVS: il 67,7% degli occupati italiani vorrebbe ridurre il tempo dedicato al lavoro in futuro. In particolare, il 65,5% dei giovani, il 66,9% degli adulti e il 69,6% degli over50.

Già oggi il 30,5% degli occupati (34,7% giovani) dichiara di impegnarsi nel lavoro lo stretto necessario, rifiutando straordinari, chiamate o mail fuori dall’orario di lavoro, ed eseguendo solo ciò che gli compete per mansione.
Quasi il 28% ha rinunciato a un lavoro migliore perché la sede era troppo distante dalla propria abitazione.
Insomma, il lavoro influenza meno la vita privata rispetto al passato (52,1%), perché ci si dedica ad attività e valori reputati più importanti. È così per il 54,2% dei giovani, il 50,1% degli adulti e il 52,6% degli anziani. 

Più occupazione, più stabilità, nessuna fuga dal lavoro

Nel 2022 gli occupati in Italia sono 23,1 milioni, il dato più alto di sempre. E il lavoro è anche più stabile. Tra il 2019 e il terzo trimestre 2023, salgono del +5,0% i contratti permanenti e scendono del -4,5% quelli a termine.

Inoltre, non c’è alcuna fuga dal lavoro, piuttosto una corsa verso lavori migliori. Infatti, i dati Inps indicano che il tasso di ricollocazione a tre mesi dei dimessi volontari con meno di 60 anni è stato pari al 67,0%, quindi più alto rispetto agli anni precedenti.

Il valore del welfare aziendale

Lo conoscono sempre più lavoratori: l’81,8% degli occupati sa cos’è il welfare aziendale (il 32,7% in modo preciso e il 49,1% a grandi linee), mentre nel 2018 era il 60,2%.

Il welfare aziendale è anche molto apprezzato e desiderato, poiché tra i lavoratori che ne beneficiano l’84,3% lo vorrebbe potenziato, e tra coloro che non ne beneficiano l’83,8% vorrebbe fosse introdotto nella propria azienda. Inoltre, il 79,5% degli occupati apprezzerebbe un aumento retributivo sotto forma di una o più prestazioni di welfare. Lo afferma il 94,2% dei dirigenti, il 78,2% degli impiegati e il 74,8% degli operai.
Il welfare aziendale di fatto può diventare uno degli strumenti migliori per trattenere o attrarre i lavoratori.

Più attenzione delle aziende verso vulnerabilità specifiche, meno al benessere generale

Il 61,5% degli occupati reputano adeguata l’attenzione aziendale in relazione alle esigenze dei lavoratori con figli, il 71,0% a quelle delle donne che rientrano dalla maternità, il 62,9% alle esigenze delle persone con una salute fragile, e il 52,3% alle condizioni base dei lavoratori.

Invece, per il 61,7% degli occupati l’azienda non è abbastanza attenta al benessere psicofisico generale di tutti i lavoratori, anche di quelli senza problematiche specifiche.
Sottolineano di più questo deficit di attenzione aziendale gli impiegati (62,3%) e gli operai (68,4%).

Internet: le 7 abilità essenziali per chi è meno avvezzo alla tecnologia

Acquisire familiarità con alcune competenze tecnologiche di base può rendere la navigazione online meno intimidatoria e più sicura per tutti coloro che sono meno avvezzi al web e la tecnologia in generale.
In un mondo sempre più digitale, chi non è particolarmente esperto di tecnologia può sentirsi a disagio o emarginato. Jason Adler, esperto presso Repocket, mette in luce quali sono le competenze internet che tutti dovrebbero conoscere per navigare con maggiore sicurezza e confidenza.

E la prima riguarda sicuramente il browser di navigazione. Imparare a usare il browser è infatti fondamentale per navigare su internet.
Se Google Chrome domina il mercato con 2,6 miliardi di utenti nel 2023, esistono anche ulteriori valide alternative, come Safari e Firefox. Conoscere funzioni come aprire nuove schede, salvare i siti preferiti, eliminare la cronologia e gestire le impostazioni può migliorare significativamente l’efficienza online.

Utilizzare con efficacia i motori di ricerca, ma attenzione alla sicurezza delle password

Saper usare i motori di ricerca come Google o Bing non riguarda solo i veterani di internet. Imparare a selezionare le parole chiave corrette e a usare gli operatori booleani (AND, OR, NOT) può rendere le ricerche più precise e veloci, risparmiando fino al 25% del tempo impiegato per cercare un’informazione.

Non meno importante è prestare attenzione alla sicurezza delle password.
Con oltre 23,2 milioni di violazioni dei dati causate da password deboli, la sicurezza degli account inizia da una password forte.
Utilizzare gestori di password affidabili può non solo aumentare la sicurezza e la protezione dei dati personali, ma anche risparmiare tempo prezioso.

Protezione della privacy e sicurezza online e imparare a ricercare le immagini 

Con l’aumento delle minacce informatiche, conoscere le impostazioni di privacy di base e adottare buone pratiche come evitare di aprire e-mail sospette e mantenere aggiornato il software è cruciale per proteggersi online.
Molti poi non sanno che è possibile effettuare ricerche su Google tramite immagini. Si tratta di una funzionalità utile per trovare prodotti o informazioni quando le parole non sono sufficienti.

In ogni caso, essere in grado di affrontare problemi come risolvere il blocco delle pagine o i tempi di caricamento lenti, spesso risolvibili riavviando il dispositivo o svuotando la cache, è fondamentale per un’esperienza online più fluida.

Le scorciatoie da tastiera

Anche se non utilizzabili sugli smartphone, conoscere alcune scorciatoie da tastiera, ovvero la pressione di due o più tasti contemporaneamente per richiamare una determinata operazione, può far risparmiare fino a 64 ore di tempo all’anno, rendendo la navigazione più efficiente e meno dispendiosa in termini di tempo.
Insomma, queste competenze di base possono trasformare l’esperienza online, rendendola meno complicata e più accessibile.

Con la pratica, internet diventerà sicuramente uno strumento meno intimidatorio e più utile anche a chi è poco esperto di internet e tecnologia.

L’Italia vista dal web: le parole chiave del 2023

Cosa cercano, sperano, interessano gli italiani? Niente di meglio che scoprirlo attraverso i movimenti on line del nostri connazionali. Così ha fatto un’analisi condotta da SocialData, affiliata di Urban Vision e SocialCom, che ha recentemente presentato i risultati in Senato. La ricerca ha catturato i cambiamenti in atto nella società, esplorando le preoccupazioni, i sentimenti e le speranze della popolazione sul web e si social.

Il calcio pigliatutto

Il mondo del calcio si conferma il catalizzatore principale delle interazioni online degli italiani nel 2023, con oltre 2,8 miliardi di coinvolgimenti tra interazioni, commenti e condivisioni.

Il calcio, seguito da reati e sicurezza e politica e governo, si piazza al vertice della lista con 2,8 miliardi, 1,8 miliardi e 1,6 miliardi di interazioni rispettivamente. Questo dato, sebbene confermi la necessità di distrazione dagli affanni quotidiani, sottolinea anche un lato poco conosciuto della realtà italiana. Nella top 10 degli argomenti più discussi, emergono anche inflazione (880 milioni) e guerre (197 milioni).

La leadership di Meloni e l’addio a Berlusconi

La premier Giorgia Meloni si distingue come la figura politica più discussa nel 2023, con oltre 253 milioni di interazioni, seguita da Matteo Salvini (70,5 milioni) e Elly Schlein (47,6 milioni). La scomparsa di Silvio Berlusconi ha suscitato 672 mila conversazioni, tanto da essere l’addio più commovente dell’anno.

Sul lavoro il sentimento dominante è la rabbia 

Il lavoro emerge come una delle principali preoccupazioni degli italiani online, con oltre 11 milioni di contenuti rilevanti. La rabbia è l’emozione predominante, e coinvolge il 31% dei post analizzati. Più in dettaglio, si registrano oltre 129 milioni di interazioni sul tema degli stipendi, 23 milioni sulle morti bianche e 20 milioni sulla disoccupazione.

Cresce l’attenzione verso le problematiche ambientali

Gli utenti italiani dimostrano un crescente interesse per i cambiamenti climatici, con 789 milioni di interazioni sui temi ambientali. Di queste, oltre 338 milioni riguardano il cambiamento climatico e i fenomeni atmosferici estremi, mentre 54 milioni si focalizzano sulla raccolta differenziata.

Elezioni europee? Forte polarizzazione online

Un focus sulle elezioni europee di giugno rivela una forte polarizzazione online, con il 58% degli utenti partecipanti. Le conversazioni orientate a destra prevalgono (35%) rispetto a quelle orientate a sinistra (23%), mentre i temi principali riguardano economia (19%), cultura (16%), salute (10%) e immigrazione (8%).

Nel 2023 crescono i progetti Blockchain

Negli ultimi anni, il 31% delle più importanti imprese globali della domanda della Fortune Global 500 (153 imprese) ha implementato almeno un progetto basato su Blockchain, per un totale di 336 progetti tra proof of concept, pilota e operativi.
In forte crescita i progetti Blockchain for business (+58%), la maggioranza (36%), con 106 nuovi casi tra soluzioni di token e smart contract per ottimizzare i processi aziendali.

In linea con il 2022 i progetti di Decentralized Web, in cui la Blockchain serve a sviluppare servizi vicini al paradigma del Web3, con 96 nuovi casi (32%).
Stabili anche i nuovi progetti basati sullo scambio di valore, l’Internet of Value (criptovalute, stablecoin e Central Bank Digital Currency), 95 casi nel 2023 (32%). È quanto emerge dalla ricerca dell’Osservatorio Blockchain & Web3 della School of Management del Politecnico di Milano.

Criptovalute: nel 2023 +110% 

Il 2023 è stato un anno di forte trasformazione per il mondo Web3, con lo sviluppo del quadro normativo e numeri incoraggianti di mercato e adozione. Dopo un periodo di relativa stabilità, il mercato delle criptovalute ha registrato una ripresa (+110% vs 2022), grazie anche allo sviluppo degli ETF spot su Bitcoin.

Circa 3 milioni di utenti nel mondo ogni giorno utilizzano 15.000 applicazioni decentralizzate (DApp), +75% nell’ultimo anno. E l’ecosistema della finanza decentralizzata (DeFi) ha mantenuto investimenti stabili intorno a 45 miliardi di dollari, rilevanti anche se lontani dai 160 miliardi di aprile 2022, prima del crollo di Terra-Luna e del successivo ‘cryptowinter’.
In questo contesto, aziende e PA di tutto il mondo proseguono lo sviluppo di progetti basati su Blockchain. Sono 297 i nuovi casi del 2023 (+19%), che portano a oltre 1300 i progetti censiti dal 2016.

Italia, stabile l’interesse per criptovalute e token

In Italia, il 2023 vede una sostanziale stabilità dei progetti Blockchain, con investimenti pari a 38 milioni di euro (-10%). Ma gli attori hanno spostato l’attenzione dal lancio immediato di progetti di piccola entità, che nel 2022 erano stati principalmente legati alla creazione di NFT, a prototipi e progetti pilota di maggiore dimensione.

Il 39% degli investimenti riguarda il settore finanziario e assicurativo, mentre aumenta la rilevanza di progetti della PA (14%), dell’agrifood (10%), seguiti dal fashion (7%).
Stabile l’interesse degli italiani per criptovalute e token: 3,6 milioni dichiarano di possederli attualmente.

“La spinta alla tokenizzazione interessa sempre più i Real World Assets”

“Nell’anno appena concluso sono maturati significativi progressi tecnologici, regolamentari e applicativi – afferma Francesco Bruschi, Direttore dell’Osservatorio -. Tra le applicazioni ha avuto particolare slancio la tokenizzazione, cioè la rappresentazione di asset tramite sistemi Blockchain. Aziende di rilievo hanno integrato nei loro servizi gli stablecoin, denaro fiat tokenizzato, abilitando nuove applicazioni e modalità di trasferimento. La spinta alla tokenizzazione ha interessato sempre più i cosiddetti ‘Real World Assets’, asset finanziari tradizionali e persino proprietà di beni fisici. Questa tendenza è guidata dalla prospettiva di migliore trasferibilità e di programmabilità, che li rende utilizzabili in applicazioni trasparenti e più inclusive nel contesto del Web3”.

Quanto costano le dimissioni del personale alle imprese? Fino a 2 milioni di euro l’anno

Tra le spese legate all’onorario di un’agenzia di head hunting e quelle relative a un periodo di mancata produttività, quando un’azienda di medio-grande dimensione (500 dipendenti) perde talenti e deve assumerne di nuovi il costo che deve affrontare è di circa 2 milioni di euro l’anno.
È quanto emerge dal terzo Outlook dell’Osservatorio sulla formazione continua curato da OfCourseMe.

“Supponiamo di avere un’impresa di 500 persone, con una perdita di figure qualificate, churn, dell’8% annua. Abbiamo calcolato che i costi affrontati, in termini di spese per le agenzie di head hunting e mancata produttività, e tenendo conto del tempo medio per l’assunzione di una nuova persona, pari a 2,5 mesi, è di 2 milioni di euro in un anno”, spiega Davide Conforti, Presidente dell’Osservatorio e Founder di OfCourseMe.

Come affrontare il vuoto di competenze?

La domanda che si è posto l’Osservatorio è la seguente: come possono le imprese affrontare la ‘piaga’ della perdita di persone chiave, il conseguente vuoto di competenze, e al contempo, cercare di contenere i costi?

“La risposta risiede nell’upskilling – aggiunge Davide Conforti -, una strategia vincente che non solo mitiga i rischi, ma contribuisce attivamente a migliorare il business”.
Ma quanto è effettivamente tangibile l’impatto della formazione? E, soprattutto, è possibile calcolarne il ROI?

Il ROI dell’upskilling si attesta da 3 a 6 volte l’investimento iniziale

“Grazie a iniziative di sviluppo professionale è possibile mitigare il churn di almeno il 10% – sottolinea Conforti -. Questo equivarrebbe a un risparmio di 200 mila euro”.
Confrontando il costo medio di un piano di upskilling su una popolazione di circa mille persone con i benefici derivanti dalla riduzione del churn i risultati calcolati dall’Osservatorio sono sorprendenti. Il ROI dell’upskilling si attesta infatti tra 3 e 6 volte l’investimento iniziale. Ciò dimostra che la formazione continua non è solo una spesa necessaria, ma un investimento strategico che si ripaga ampiamente da sé già nel corso del primo anno.

I percorsi di formazione continua devono essere personalizzati per avere un effetto positivo

“L’effetto positivo della formazione richiede, però, un approccio strategico da valutare puntualmente in relazione alle prospettive dell’impresa – puntualizza ancora il manager -. È necessario avere chiaro quali siano le competenze critiche e gli skill gap su cui intervenire. Da qui, avviare percorsi di upskilling personalizzati, in grado di coinvolgere le singole persone”.