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Twitter: verso video a pagamento?

Elon Musk recentemente ha acquistato Twitter per 44 miliardi di dollari, e ora sta lavorando per cercare di rendere il social network più redditizio. Secondo quanto emerge da un’email interna ottenuta dal Washington Post, la società starebbe lavorando a una funzionalità che consentirebbe di pubblicare video e addebitare agli utenti la visualizzazione. Il social network, secondo il Washington Post, punterebbe a rendere questa funzionalità denominata Paywalled video operativa “tra una o due settimane”.
L’accesso ai video per gli utenti avrebbe prezzi variabili, da 1 a 2 fino a 5 o 10 dollari. In pratica, chi twitta il video riceverebbe una parte della somma, mentre il social network prenderebbe una percentuale che però non è stata ancora specificata.

Rischi legati ai contenuti protetti da copyright

Gli utenti che non hanno pagato però non sarebbero in grado di vedere il video, anche se potrebbero mettere mi piace, o ritwittare il tweet. Ma il team al lavoro su questa nuova funzionalità avrebbe indicato, in particolare, rischi legati ai contenuti protetti da copyright.
“Non è chiaro – spiega il quotidiano Usa – se la funzione fosse in fase di sviluppo prima che Musk prendesse la guida della società”. E Twitter, su questo punto, non ha rilasciato commenti.
Comunque, il team incaricato di studiare le implicazioni di questa nuova funzionalità avrebbe “solo tre giorni per fornire un feedback sui potenziali rischi”. E un dipendente di Twitter, rileva ancora il Washington Post, ha affermato che la nuova funzionalità probabilmente potrebbe essere utilizzata almeno in parte per i contenuti per adulti.

Il pagamento della ‘spunta blu’

Al momento, mentre Twitter registra la maggior parte dei propri ricavi grazie agli introiti dovuti alla pubblicità, Elon Musk sembra deciso a voler addebitare un costo anche agli utenti. Questo è emerso recentemente anche con l’annuncio di voler mettere a pagamento la cosiddetta ‘spunta blu’, il sistema usato finora da Twitter per verificare l’identità delle persone pubbliche. In questo caso, riferisce Adnkronos, Elon Musk in un tweet ha parlato di “un abbonamento da 8 dollari al mese”.

Un nuovo corso che non piace

Il punto più discusso del nuovo corso di Twitter è proprio il vincolo ad abbonarsi a Twitter Blue per ottenere o mantenere la spunta blu. Coloro che in questo momento la possiedono, se sceglieranno di non abbonarsi al rinnovato piano a pagamento la perderanno. E chi vorrà, personaggio famoso o meno, di fatto potrà acquistarla. Sono tanti gli utenti attualmente verificati che hanno mostrato il loro disaccordo, con toni tutt’altro che pacati, come ad esempio lo scrittore Stephen King e l’attore Evan Handler. Proprio King ha annunciato l’addio a Twitter a fronte dei 20 dollari inizialmente previsti, riferisce Wired, tanto da spingere il fondatore di Tesla a rilanciare a 8 dollari, poi definita la tariffa definitiva.

Truffe e telefonia: quanti italiani sono caduti in trappola?

La telefonia, fissa e mobile, è l’ambito di spesa dove gli italiani cadono in trappola con maggior frequenza. In dodici mesi sono stati oltre 3,3 milioni gli italiani che hanno subito una truffa, con un danno economico complessivo di quasi 400 milioni di euro. A rivelarlo è un’indagine di Facile.it commissionata agli istituti mUp Research e Norstat. Di fatto, il 7,7% degli intervistati ha ammesso di essere stato truffato su questa voce. Guardando alle singole voci, è la telefonia mobile maggiormente colpita rispetto a quella fissa (5,2% vs 4,1%). Nella classifica delle aree maggiormente prese di mira si posizionano le utenze luce e gas (7,1%) e le carte elettroniche (6,5%). Le polizze Rc auto e moto, sebbene siano considerate spesso tra le più ambite dai malfattori, sono gli ambiti dove in percentuale gli italiani sono caduti in trappola meno frequentemente (1,4%).

I danni economici e i canali più usati dai malfattori

Il danno medio per ogni truffato è di 119 euro. L’importo varia a seconda della voce di spesa familiare, raggiungendo il valore più alto per le truffe legate ai prestiti personali, dove chi è caduto in trappola ha perso, sempre in media, 1.490 euro. Distinguendo tra telefonia mobile e fissa, l’indagine ha analizzato gli strumenti attraverso cui vengono portate a termine le frodi.
In entrambi i casi i canali più usati dai malfattori sono stati le email e i finti call center. Nella telefonia mobile quasi 1 truffa su 2 (42,5%) è passata tramite un’email, percentuale che scende leggermente nel caso della telefonia fissa (37,4%), mentre i finti call center hanno riguardato il 33,1% delle frodi in ambito mobile e il 39,4% la rete fissa.

Quasi 5 su 10 non denunciano

Come si comportano i truffati dopo aver subito una frode legata alla telefonia? Il 47,5% di chi è caduto in trappola ha deciso di non denunciare, valore più alto rispetto alla media rilevata nelle altre voci di spesa familiare oggetto di indagine. Ma per quali motivi non si denuncia? Fra coloro che hanno deciso di non sporgere denuncia il 36,1% non lo ha fatto perché il danno economico era basso, mentre il 25,2% perché certo di non recuperare quanto perso. Per il 15,9% dei truffati che non hanno sporto denuncia, invece, la ragione è di natura psicologica: “si sentivano ingenui per esserci cascati”. E l 13,5%, non lo ha fatto per paura che ne venissero a conoscenza i familiari.

L’identikit dei truffati

In ambito telefonico, le vittime predilette sono soprattutto gli uomini (9,7% rispetto al 5,7% del campione femminile), e a dispetto di quanto si possa pensare, gli intervistati con un titolo di studio universitario (11% rispetto al 5,7% rilevato tra i non laureati). Scomponendo il campione emerge che nel caso della telefonia mobile sono caduti vittima con maggior frequenza gli appartenenti alla fascia anagrafica tra 18-24 anni (12,2%).

Come salire sul tetto condominiale in sicurezza?

Spesso, nel corso dell’anno, può capitare si presenti la necessità di salire sul tetto del condominio per verificare la presenza di eventuali problematiche (infiltrazioni al piano di sotto, canne fumarie che non funzionano bene, comignoli ostruiti) oppure per antenne tv che vanno sostituite o riparate, ad esempio.

Si tratta di normali pratiche di manutenzione che vanno necessariamente apportate per mantenere un comfort adeguato nei singoli appartamenti, consentendo così a tutti di poter vivere in un ambiente perfettamente sano ed accogliente.

L’importanza della sicurezza

Uno degli aspetti prioritari, a prescindere dal tipo di lavoro che ci si appresta a fare, è quello di curare la sicurezza delle persone che fisicamente si apprestano a salire sul tetto.

È la legge stessa infatti a prevedere che debbano essere rispettati determinati standard di sicurezza quando si lavora ad una quota superiore ai 2 metri, e questo include chiaramente i lavori sul tetto a prescindere che questo sia condominiale o relativo ad una singola unità abitativa.

Inoltre, il condominio stesso è responsabile civilmente e penalmente per ciò che può accadere agli operai nel momento in cui raggiungono il tetto ed effettuano il lavoro per il quale sono stati contattati, dunque diventa ancora più importante comprendere quanto sia importante il concetto di sicurezza sul lavoro.

Nell’ottica di ridurre drasticamente il numero di incidenti e vittime in cantiere infatti, il Lgs. 81/2008 (noto anche come “Testo Unico Sicurezza sul Lavoro“), prevede tutta una serie di precauzioni ed azioni necessarie per consentire a tutti di poter lavorare in sicurezza anche ad alta quota.

Le condizioni necessarie per poter lavorare in sicurezza

Ecco di seguito le più importanti condizioni da rispettare affinchè la sicurezza delle persone che lavorano ad alta quota possa essere adeguatamente tutelata.

  • Facilità di accesso al tetto
  • Resistenza alle sollecitazioni e ai carichi da parte della struttura
  • Presenza di una linea vita sul tetto
  • Presenza di una adeguata segnaletica di sicurezza
  • Utilizzo dei dispositivi di protezione individuale

Adoperare tale tipo di soluzioni significa aver aumentato notevolmente il livello di sicurezza per quanti lavorano ad alta quota, ed al tempo stesso aver diminuito in maniera drastica le probabilità che un incidente possa verificarsi.

I dispositivi di protezione individuale

Come accennato, i dispositivi di protezione individuale rappresentano una delle più importanti risorse per garantire ai lavoratori la possibilità di lavorare in alta quota senza dover temere per la propria incolumità.

Parliamo per questo di dispositivi quali i caschi da lavoro, realizzati con materiali che consentono di assorbire ogni urto e dunque di attutire l’urto con ogni tipo di superficie o oggetto che cada dall’alto.

Ci sono poi le imbracature, le quali hanno l’importante compito di assicurare gli operai che lavorano ad alta quota, facendo in modo da rendere impossibile una eventuale caduta nel vuoto.

Tali imbracature vengono collegate ad un punto fisso, solitamente le linee vita che sono ben ancorate al tetto.

Esistono poi altri dispositivi di protezione individuale come gli assorbitori, i quali hanno il compito di “distribuire” le forze che entrano in gioco durante la fase di arresto della corsa, evitando che esse possano essere interamente assorbite dal corpo del lavoratore.

In questa maniera l’arresto di una caduta sarà ancora più “dolce” e dunque innocuo per la salute di un lavoratore.

In breve

Appare evidente la necessità di rendere assolutamente sicuro ogni tipo di intervento sul tetto del condominio, siano essi lavori impegnativi o meno, mettendo sempre la sicurezza e la tutela della salute dei lavoratori al primo posto.

I dispositivi di protezione individuale sono gli strumenti individuati dalla legge per raggiungere il livello di sicurezza necessario, e grazie a tale misura il numero degli incidenti in cantiere è drasticamente diminuito.

Un italiano su due vorrebbe utilizzare da subito il Metaverso

Gli italiani vorrebbero usare il Metaverso da subito. Ma forse non tutti sanno che il termine metaverso è stato coniato nel 1992 da Neal Stephenson nel romanzo di fantascienza Snow Crash, come combinazione dei termini meta e universo. Il 28 ottobre 2021 Facebook ha cambiato il nome in Meta, proprio per il metaverso, e sempre nel 2021 Meta Platforms ha assunto diecimila persone in Europa per creare il metaverso. Di fatto, si tratta di una realtà virtuale e aumentata che con l’ausilio di guanti e visori digitali rende possibile fare qualsiasi cosa, assistere a una partita, ascoltare un concerto, fare una passeggiata in una città diversa da quella in cui si vive, o partecipare a una riunione di lavoro. Tutto in modo assolutamente realistico e in 3D, ovvero con la sensazione di essere effettivamente presenti sul luogo.

Digitale: da strumento d’élite a strumento sempre più popolare

Il Metaverso ora non è più uno spazio virtuale sconosciuto alla maggior parte delle persone. Al contrario, tre italiani su quattro ne hanno sentito parlare e più della metà di loro sarebbe già pronto a utilizzarlo. I dati sono emersi da una ricerca curata dall’Istituto Piepoli e presentata nella giornata conclusiva del Festival del vitale popolare, organizzato dalla Fondazione Italia Torino, che si è svolto a Torino. La ricerca dimostra quanto il digitale, da strumento d’élite si sia trasformato nel corso del tempo in uno strumento sempre più popolare. Il 52% degli intervistati, infatti, ovvero più di uno su due, sarebbe propenso a utilizzare il Metaverso già da domani.

Dai social network alle call

Basti pensare che, come rileva ancora lo studio, se qualche anno fa gli strumenti digitali più utilizzati dagli italiani erano per lo più i social network e i siti web, oggi il digitale sta estendendo le proprie aree di applicazione. Tanto che tra gli under 54 anni un italiano su cinque afferma di utilizzare nella propria quotidianità lavorativa le piattaforme per effetture call, mentre podcast e videogame, solo quale anno fa appannaggio esclusivo dei giovani, oggi sono ampiamente diffusi anche tra le persone di età compresa tra i 35 e 54 anni.

Le chat sono diventate anche uno strumento di informazione

Per quanto riguarda l’informazione, riferisce Adnkronos, la ricerca sottolinea che se i giovani da sempre utilizzano maggiormente i social network, anche il 40% degli over 54, persone, dunque, non native digitali, si informano attraverso il medesimo strumento. E le chat poi non sono più considerate solo un modo per parlare con gli altri, ma per il 10% degli italiani, e quasi per il 20% dei più giovani, sono divenute anch’esse uno strumento di informazione.

Job creep, quando il lavoro richiede sempre di più

Sempre di più, oggi, i lavoratori si sentono sotto pressione in fatto di orari: devono costantemente superare i tempi previsti per l’occupazione professionale se vogliono non solo avanzare di carriera, ma addirittura mantenere le loro posizioni. Che si tratti di rimanere sino a tardi, di lavorare durante il fine settimana per concludere un progetto o di presentarsi anche se malati, molti dipendenti impiegano regolarmente più ore e svolgono più attività di quelle stabilite per la loro mansione. E anche se per alcuni questo sforzo addizionale può aiutare in un avanzamento di carriera, per molti altri è una normale aspettativa da parte dei datori di lavoro. 

Nessun confine

Questa realtà – definita ‘job creep’ (o work creep, cioè lavorare sempre di più in modo soprattutto volontario sperando in una promozione) – è ritornata prepotentemente alla luce durante la pandemia – a causa della non distanza fra posto di lavoro e casa – , anche se la cultura dell’impresa che richiede ai dipendenti di fare oltre il possibile si è sviluppata nel corso di diversi decenni. Come riporta un servizio della BBC, se da un lato diversi lavoratori hanno deciso di dire addio a questo sistema a favore in un miglior equilibrio fra vita privata e vita professionale, altri invece sono disposti a tutto pur di centrare i loro obiettivi. “C’è stata una crescente intensificazione del lavoro”, spiega Katie Bailey, professoressa di lavoro e occupazione al King’s College di Londra. Ora ci si aspetta che i lavoratori siano “impegnati, entusiasti e motivati. Dovrebbero dedicare ore e sforzi extra per essere notati o promossi”. E queste aspettative sono ora così interiorizzate dai lavoratori che molti temono che, se non vanno al di là del contratto, nella migliore delle ipotesi non verranno mai promossi; nel peggiore dei casi saranno etichettati come fannulloni. Un ulteriore fattore è una crescente enfasi sul coinvolgimento dei dipendenti, afferma ancora Bailey. Un mood che vuole migliorare la produttività creando una cultura del posto di lavoro affinchè il personale sia entusiasta di andare in ufficio. A prima vista, può sembrare un aspetto positivo. “Ci sono molte ricerche che mostrano che i dipendenti coinvolti sono più felici, più soddisfatti, più impegnati e godono di livelli di benessere più elevati”, afferma. Ma c’è anche un forte legame tra livelli più elevati di coinvolgimento, ore di lavoro extra e per finire di ansia. Perchè questa tensione a fare di più e per più tempo si insinua in noi facendo leva sul valore psicologico insito negli accordi di lavoro come aspettative, disponibilità e riconoscimenti, causando un forte stress.

Non sempre corrisponde un’adeguata ricompensa

“Superare sempre la richiesta di compiti e doveri consuma risorse mentali e causa elevati livelli di stress. A tali sforzi inoltre, assunti oltre il proprio ruolo, non corrisponde una adeguata ricompensa, – spiega alla BBC Anthony Klotz, professore alla School of Management alla University College di Londra -. Queste sono in fondo tra le ragioni dell’abbandono di lavori poco graditi da parte dei giovani, ma dalle ceneri del vecchio concetto di lavoro il job creep contagia i lavoratori che si assumono compiti extra per fare tutto il possibile anche lavorando da casa”.

I consumatori italiani sono phygital, ma le aziende non sono ancora pronte

Da quanto emerge dalla ricerca di BVA Doxa in collaborazione con Salesforce Italia, dal titolo Gli italiani e le esperienze di acquisto Phygital, se le soluzioni phygital incontrano il gradimento del 96% del campione intervistato, solo il 21% dichiara che i negozi hanno realizzato gran parte di queste soluzioni. I consumatori italiani quindi sono sempre più phygital, ricercano un’esperienza fluida nell’utilizzo congiunto del canale fisico e digitale per tutto il ciclo vita dei loro acquisti. Ma le aziende non sono pronte. Secondo il 65% degli italiani, la maggior parte di brand e retailer presenti in Italia è infatti ancora lontana dall’offrire un buon livello di soluzioni integrate tra canale fisico e online.

Il ruolo centrale del negozio fisico per la spesa alimentare

Il punto vendita fisico è nettamente preferito per fare la spesa alimentare (86% per i prodotti freschi e 84% per i prodotti da dispensa). Gli aspetti più graditi sono la possibilità di vedere e toccare con mano i prodotti (66%), poter avere subito gli oggetti desiderati (52%) e interagire con il personale di vendita (47%). Un aspetto critico di scelta è l’assistenza post-acquisto: il bisogno di rassicurazione nel post-vendita (47%) viene soddisfatto anche dall’online, che però delude più facilmente le aspettative. I driver di scelta che spingono gli italiani a fare spese in digitale sono, in particolare, la possibilità di avere prezzi migliori e offerte convenienti (61%), ma anche la comodità di poter effettuare gli acquisti direttamente da casa propria (58%).

L’online delude più facilmente le aspettative

L’acquisto online è in grado di attivare maggiormente le leve del desiderio e dell’immaginazione. Lo dichiara il 45% del campione intervistato. Solo il 7% ritiene che il canale fisico faccia viaggiare con l’immaginazione nella fase di scelta. Se entrambi i canali sono in grado di far nascere il ‘colpo di fulmine’ per un prodotto, è però l’online ad avere un limite. Per un italiano su tre (33%) il canale digitale rischia di deludere più facilmente le aspettative rispetto a quello fisico (9%).

Potersi muovere in modo fluido, congiunto e soddisfacente tra i diversi canali 

Dai dati raccolti emerge una richiesta forte e trasversale alle diverse esperienze di acquisto phygital. Tra i vantaggi individuati dagli italiani nel potersi muovere in modo fluido, congiunto e soddisfacente tra canale online e fisico, emergono in particolare la possibilità di avere un’esperienza d’acquisto più consapevole e informata (57%), un customer journey più comodo (57%), usufruire di una soluzione in grado di adattarsi alle proprie esigenze (54%), e una maggiore sicurezza negli acquisti (51%).

Cosa è la terapia manuale

In ortopedia per terapia manuale si intende la manipolazione del corpo del cliente a fini curativi, come ad esempio esercizi terapeutici e mobilitazioni che hanno lo scopo di risolvere i problemi accusati dal paziente ed emersi dalla precedente valutazione effettuata dal terapista.

Grazie alla terapia manuale è possibile dunque andare a localizzare il punto esatto in cui il paziente avverte dolore o fastidio e lavorarci su al fine di mitigare tale sintomatologia e risolverla.

Per ricevere tale tipo di cura è necessario recarsi presso un centro di fisioterapia o riabilitazione o direttamente presso lo studio di un fisioterapista.

Come vedremo in seguito, il terapista va ad eseguire dapprima una analisi e solo successivamente egli andrà ad apportare le tecniche di manipolazione che ritiene essere più efficaci in relazione al problema rilevato.

La valutazione

La prima cosa che è un terapista effettua sul paziente è la valutazione, al fine di riuscire ad individuare l’esatta natura del problema e dunque poter scegliere il trattamento più efficace per risolvere.

Egli effettua dunque dei test di verifica per i quali va a sollecitare le articolazioni del paziente invitandolo a compiere determinati movimenti.

Questa è la parte più importante della seduta e, assieme ad un buon livello di esperienza, rappresenta un tesoro per il terapista ogni corso di terapia manuale frequentato grazie al quale si sono acquisite tecniche di manipolazione e capacità di analisi.

Perché è bene sottoporsi alla terapia manuale?

Certamente gli strumenti laser e altri macchinari di nuova concezione sono in grado di andare a lavorare sul dolore localizzato, ma si è rivalutata nel tempo la particolare abilità del terapista nell’ andare ad individuare l’esatta natura del problema toccando il corpo del paziente con le sue mani.

Dunque fisioterapia e tecnologia vanno di pari passo e sono complementari. Ricordiamo infatti che per mezzo della terapia manuale si va ad agire sull’apparato muscolo-scheletrico ed in particolare su muscoli, tendini e articolazioni.

Inoltre la terapia manuale è in grado di influire positivamente sulla circolazione del sangue, nonché su particolari aspetti che riguardano il metabolismo.

Appare evidente dunque che si tratta di un approccio che è certamente in grado di migliorare la qualità della vita di una persona, ragion per cui facciamo bene a sottoporci a questo tipo di trattamento nel momento in cui avvertiamo un fastidio o dolore sul quale intendiamo intervenire rapidamente.

Cosa succede dopo la prima seduta con il terapista?

A distanza di giorni dalla prima seduta il terapista interroga il paziente, circa le sue sensazioni in relazione al problema che si sta curando con la terapia manuale. Di norma avviene che il dolore comincia a mitigarsi ed il paziente comincia a riacquistare libertà di movimento.

Questi segnali incoraggianti lasciano intendere che la terapia manuale sta dando dei risultati, per cui questa verrà impiegata anche nelle successive sedute.

In caso contrario, il terapista andrà ad adottare dei trattamenti più specifici così da ottenere i buoni risultati sperati. Il risultato della terapia manuale è soddisfacente quando il paziente avverte una precisa diminuzione del dolore, già nei giorni immediatamente successivi alla prima seduta, ma non solo.

Egli infatti torna ad avere una certa libertà di movimento che prima non aveva a causa del dolore e dunque la sua situazione di immobilizzazione comincia a migliorare.

Inoltre vi è una sensazione generale di benessere dovuta al fatto che grazie alla terapia manuale migliora la circolazione del sangue e si produce endorfina, quella particolare sostanza che ci regala il buonumore.

In breve

Grazie alla terapia manuale è possibile risolvere parecchi problemi di salute che riguardano l’apparato muscolare e/o scheletrico.

Certamente è importante affidarsi ad un professionista con una grande esperienza in questo ambito e comunicargli in maniera dettagliata quelle che sono le nostre sensazioni, così da aiutarlo ad individuare con maggior precisione la natura del problema ed il trattamento più efficace per risolverlo.

Imprese giovanili: tra il 2012 e il 2021 sono un quinto in meno

Le 137mila imprese di under 35 registrate in meno a fine 2021 sono il -20% del 2012. Se a fine 2012 rappresentavano l’11,1% del tessuto produttivo nazionale oggi la quota è pari all’8,9%.  In pratica in 10 anni l’Italia ha perso un quinto delle imprese guidate da giovani, avverte Unioncamere in occasione del convegno Il futuro del lavoro, organizzato nell’ambito del Meeting di Rimini, dal segretario generale di Unioncamere, Giuseppe Tripoli. Di fatto, la riduzione risulta più consistente in alcune regioni, come Marche, Abruzzo e Toscana, dove la quota di imprese giovanili in meno si aggira intorno al 30%, ma si estende con variazioni a due cifre in tutto il Paese, a eccezione del Trentino Alto Adige, dove le giovani imprese sono cresciute del 6,5%.

La fuga dei giovani all’estero

Come mostrano le previsioni Istat, secondo Tripoli in 30 anni, tra 2020 e il 2050, gli italiani saranno 5,5 milioni in meno. Inoltre, un numero elevato di nostri connazionali ha lasciato e lascia l’Italia per l’estero: nel 2019, 170mila italiani sono andati all’estero, e più della metà, 90mila, erano giovani. Questo comporta che sempre meno giovani si affaccino sul mercato del lavoro. Come mostrano le elaborazioni di Unioncamere-InfoCamere, rispetto a 10 anni fa avviare una azienda in alcuni settori tradizionali è vista come una opportunità per costruire un progetto lavorativo e di vita per un numero inferiore di giovani. Ad esempio, le imprese manifatturiere giovanili sono diminuite del 33%, anche per effetto delle difficoltà amministrative connesse all’avvio dell’impresa.

Start up innovative: il 15,7% fondate da under 35

C’è però da segnalare un dato interessante, ha ricordato il segretario generale di Unioncamere: la consistente partecipazione giovanile al mondo delle start up innovative. Su quasi 14mila start up innovative, il 15,7% è stato creato da giovani, con una incidenza che è di quasi 7 punti percentuali superiore a quella che la componente giovanile ha sul totale delle imprese.  Gli under 35, in generale, sembrano aver puntato in questi anni su alcuni settori della conoscenza tra cui i servizi alle imprese, gli studi di design, il mondo della pubblicità, le attività di ricerca e sviluppo e l’Istruzione.

“La riduzione dell’imprenditoria giovanile va contrastata con politiche efficaci “

Questi dati devono far suonare un campanello d’allarme, ha sottolineato il segretario generale. “L’Italia ha costruito la sua forza economica anche sul numero delle imprese, in particolare di piccole dimensioni – commenta Tripoli. -. La riduzione della base imprenditoriale giovanile non tarderà a produrre i suoi effetti anche sui valori economici complessivi del Paese, se non contrastata con efficaci politiche già dagli anni della formazione scolastica”.  

In Italia solo 27 comuni su 8mila utilizzano chatbot o assistenti virtuali

Sono lo 0,33% del totale le amministrazioni locali italiane che hanno scelto includere chatbot o assistenti virtuali all’interno dei propri siti d’informazione. Di queste, 19 si trovano nel Nord Italia (70%), 5 al Sud (18%) e solo 4 al Centro (12%). In pratica, appena ventisette comuni sui quasi ottomila presenti sul territorio italiano utilizzano i chatbot o gli assistenti virtuali. Lo rivela uno studio realizzato dall’Osservatorio dedicato all’applicazione dell’Intelligenza artificiale nel mondo delle Pubbliche Amministrazioni. La ricerca è nata da una partnership tra il Dipartimento di Scienze Sociali, Politiche e Cognitive dell’Università di Siena e QuestIT, azienda senese spin-off dell’Università di Siena, specializzata nello sviluppo di software e servizi basati sull’Intelligenza artificiale.

Una buona capacità di interazione con il pubblico nel 44% dei casi

Lo studio è stato condotto sotto la guida della dottoressa Linda Basile, ricercatrice presso il Dipartimento di Scienze Sociali, Politiche e Cognitive dell’Università di Siena. E seppure ancora pochi, i chatbot analizzati dall’Osservatorio hanno comunque evidenziato una buona capacità di interazione con il pubblico nel 44% dei casi, rispondendo correttamente a domande di tipo base oltre 6 volte su 10 (63%). Inoltre, l’85% dei chatbot utilizza forme di cortesia durante le conversazioni e il 78% di essi è in grado di chiedere all’utente di specificare meglio la sua richiesta nel momento in cui viene formulata la domanda.

Il 26% dei virtual assistant propone suggerimenti all’utente

Non solo: il 26% dei virtual assistant propone dei suggerimenti all’utente in caso di eventuali dubbi o necessità, il 22% possiede anche capacità conversazionali, e il 19% reindirizza automaticamente l’utente sulla pagina web desiderata. I dati della ricerca derivano da un’analisi suddivisa in due fasi,  riporta Ansa: la prima si basa sull’utilizzo di un sistema di codifica incrociata utile a verificare l’attendibilità dei chatbot presenti nei siti d’informazione. La seconda fase, invece, prende in esame interviste con funzionari e dirigenti comunali, per valutare il loro grado di soddisfazione nei confronti della tecnologia e anche quali sono i potenziali margini di miglioramento.

“I chatbot avvicinano le istituzioni ai cittadini, soprattutto la fascia più giovane”

“Stando a quanto raccolto dai colloqui one to one, i professionisti del settore sono entusiasti del servizio – ha affermato Ernesto Di Iorio, ceo di QuestIT -. I chatbot avvicinano le istituzioni ai cittadini, soprattutto la fascia più giovane. Inoltre, rappresentano un investimento che presenta ampi margini di miglioramento”.

Acquisti di prodotti di marca -52%, Made in Italy +28%

Gli italiani adottano comportamenti più consapevoli quando vanno a fare la spesa, e attribuiscono più importanza a salubrità e basso impatto ambientale dei prodotti. Rispetto a un anno fa, aumentano infatti gli acquisti di prodotti Made in Italy e a chilometro zero, mentre crollano quelli di prodotti di marca ed etnici. È quanto emerge dal report FragilItalia, elaborato da area studi Legacoop e Ipsos, in base ai risultati di un sondaggio sul tema Consumi e transizione green. A segnare gli incrementi percentuali maggiori sono quindi gli acquisti di prodotti Made in Italy (+28%), e a chilometro zero (+18%), seguiti dai prodotti light e integrali (+4%). Al contempo, il calo più forte riguarda gli acquisti di prodotti di marca (-52%), etnici (-26%), biodinamici (-24%) e a base di soia (-23%).

Le ragioni della diminuzione degli acquisti

Nella classifica dei prodotti più acquistati, in terza posizione si collocano i prodotti ecosostenibili, a basso impatto ambientale, acquistati dal 47% del campione, seguiti dai prodotti light e integrali (44%).
Il 74% dichiara invece di aver diminuito gli acquisti di prodotti di marca, il 51% di prodotti biologici, il 49% i prodotti equosolidali, il 45% quelli ecosostenibili. Ma quali sono i motivi che spingono a ridurre gli acquisti? Il prezzo troppo elevato viene indicato per la riduzione di acquisti dei prodotti biologici (50%), di marca (49%), ecosostenibili (48%), biodinamici (47%), a chilometro zero (46%), equo-solidali (44%), e Made in Italy (41%). La necessità di risparmiare spinge invece a ridurre gli acquisti di prodotti Made in Italy (47%), etnici (43%), equosolidali (42%), di marca e vegani (41%), e a chilometro zero (39%).

Più attenzione alla filiera

Il 58% degli intervistati dichiara che aumenterà l’attenzione per i prodotti con confezioni riciclabili, seguiti da quelli con le indicazioni per salubrità, naturalezza e componenti, dal prezzo calmierato, ed ecologici (56%). Il 52% poi aumenterà l’attenzione alla filiera, preferendo prodotti locali ed ‘etici’, rispettosi dei diritti dei lavoratori, e il 47% preferirà acquistare direttamente dai produttori.
Si tratta di orientamenti che presentano un saldo tra aumento e diminuzione degli acquisti, misurato in 54 punti percentuali per l’attenzione alle confezioni riciclabili, 52% a prezzi calmierati e salubrità/naturalezza, 50% all’ecologia dei prodotti, 47% alle filiere locali, 46% all’eticità, e 43% all’acquisto diretto dai produttori.

Si affermano comportamenti di spesa consapevoli

I driver più significativi per le scelte di acquisto del prossimo futuro sono sostanzialmente coerenti con i comportamenti di spesa consapevoli che si stanno affermando, riporta Askanews. L’88% degli intervistati dichiara di utilizzare sacchetti in tessuto o biodegradabili, l’85% di confrontare il prezzo al chilo o al litro dei prodotti, l’83% di stilare la lista della spesa per evitare di acquistare prodotti che non servono, l’80% di acquistare prodotti con confezioni di carta/cartone, il 74% di acquistare, quando possibile, prodotti sfusi, il 73% di acquistare ricariche dei prodotti per la cura della casa per ridurre lo spreco di plastica, il 71% di acquistare prodotti ecosostenibili.