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Curiosità

I consumatori italiani sono phygital, ma le aziende non sono ancora pronte

Da quanto emerge dalla ricerca di BVA Doxa in collaborazione con Salesforce Italia, dal titolo Gli italiani e le esperienze di acquisto Phygital, se le soluzioni phygital incontrano il gradimento del 96% del campione intervistato, solo il 21% dichiara che i negozi hanno realizzato gran parte di queste soluzioni. I consumatori italiani quindi sono sempre più phygital, ricercano un’esperienza fluida nell’utilizzo congiunto del canale fisico e digitale per tutto il ciclo vita dei loro acquisti. Ma le aziende non sono pronte. Secondo il 65% degli italiani, la maggior parte di brand e retailer presenti in Italia è infatti ancora lontana dall’offrire un buon livello di soluzioni integrate tra canale fisico e online.

Il ruolo centrale del negozio fisico per la spesa alimentare

Il punto vendita fisico è nettamente preferito per fare la spesa alimentare (86% per i prodotti freschi e 84% per i prodotti da dispensa). Gli aspetti più graditi sono la possibilità di vedere e toccare con mano i prodotti (66%), poter avere subito gli oggetti desiderati (52%) e interagire con il personale di vendita (47%). Un aspetto critico di scelta è l’assistenza post-acquisto: il bisogno di rassicurazione nel post-vendita (47%) viene soddisfatto anche dall’online, che però delude più facilmente le aspettative. I driver di scelta che spingono gli italiani a fare spese in digitale sono, in particolare, la possibilità di avere prezzi migliori e offerte convenienti (61%), ma anche la comodità di poter effettuare gli acquisti direttamente da casa propria (58%).

L’online delude più facilmente le aspettative

L’acquisto online è in grado di attivare maggiormente le leve del desiderio e dell’immaginazione. Lo dichiara il 45% del campione intervistato. Solo il 7% ritiene che il canale fisico faccia viaggiare con l’immaginazione nella fase di scelta. Se entrambi i canali sono in grado di far nascere il ‘colpo di fulmine’ per un prodotto, è però l’online ad avere un limite. Per un italiano su tre (33%) il canale digitale rischia di deludere più facilmente le aspettative rispetto a quello fisico (9%).

Potersi muovere in modo fluido, congiunto e soddisfacente tra i diversi canali 

Dai dati raccolti emerge una richiesta forte e trasversale alle diverse esperienze di acquisto phygital. Tra i vantaggi individuati dagli italiani nel potersi muovere in modo fluido, congiunto e soddisfacente tra canale online e fisico, emergono in particolare la possibilità di avere un’esperienza d’acquisto più consapevole e informata (57%), un customer journey più comodo (57%), usufruire di una soluzione in grado di adattarsi alle proprie esigenze (54%), e una maggiore sicurezza negli acquisti (51%).

Acquisti di prodotti di marca -52%, Made in Italy +28%

Gli italiani adottano comportamenti più consapevoli quando vanno a fare la spesa, e attribuiscono più importanza a salubrità e basso impatto ambientale dei prodotti. Rispetto a un anno fa, aumentano infatti gli acquisti di prodotti Made in Italy e a chilometro zero, mentre crollano quelli di prodotti di marca ed etnici. È quanto emerge dal report FragilItalia, elaborato da area studi Legacoop e Ipsos, in base ai risultati di un sondaggio sul tema Consumi e transizione green. A segnare gli incrementi percentuali maggiori sono quindi gli acquisti di prodotti Made in Italy (+28%), e a chilometro zero (+18%), seguiti dai prodotti light e integrali (+4%). Al contempo, il calo più forte riguarda gli acquisti di prodotti di marca (-52%), etnici (-26%), biodinamici (-24%) e a base di soia (-23%).

Le ragioni della diminuzione degli acquisti

Nella classifica dei prodotti più acquistati, in terza posizione si collocano i prodotti ecosostenibili, a basso impatto ambientale, acquistati dal 47% del campione, seguiti dai prodotti light e integrali (44%).
Il 74% dichiara invece di aver diminuito gli acquisti di prodotti di marca, il 51% di prodotti biologici, il 49% i prodotti equosolidali, il 45% quelli ecosostenibili. Ma quali sono i motivi che spingono a ridurre gli acquisti? Il prezzo troppo elevato viene indicato per la riduzione di acquisti dei prodotti biologici (50%), di marca (49%), ecosostenibili (48%), biodinamici (47%), a chilometro zero (46%), equo-solidali (44%), e Made in Italy (41%). La necessità di risparmiare spinge invece a ridurre gli acquisti di prodotti Made in Italy (47%), etnici (43%), equosolidali (42%), di marca e vegani (41%), e a chilometro zero (39%).

Più attenzione alla filiera

Il 58% degli intervistati dichiara che aumenterà l’attenzione per i prodotti con confezioni riciclabili, seguiti da quelli con le indicazioni per salubrità, naturalezza e componenti, dal prezzo calmierato, ed ecologici (56%). Il 52% poi aumenterà l’attenzione alla filiera, preferendo prodotti locali ed ‘etici’, rispettosi dei diritti dei lavoratori, e il 47% preferirà acquistare direttamente dai produttori.
Si tratta di orientamenti che presentano un saldo tra aumento e diminuzione degli acquisti, misurato in 54 punti percentuali per l’attenzione alle confezioni riciclabili, 52% a prezzi calmierati e salubrità/naturalezza, 50% all’ecologia dei prodotti, 47% alle filiere locali, 46% all’eticità, e 43% all’acquisto diretto dai produttori.

Si affermano comportamenti di spesa consapevoli

I driver più significativi per le scelte di acquisto del prossimo futuro sono sostanzialmente coerenti con i comportamenti di spesa consapevoli che si stanno affermando, riporta Askanews. L’88% degli intervistati dichiara di utilizzare sacchetti in tessuto o biodegradabili, l’85% di confrontare il prezzo al chilo o al litro dei prodotti, l’83% di stilare la lista della spesa per evitare di acquistare prodotti che non servono, l’80% di acquistare prodotti con confezioni di carta/cartone, il 74% di acquistare, quando possibile, prodotti sfusi, il 73% di acquistare ricariche dei prodotti per la cura della casa per ridurre lo spreco di plastica, il 71% di acquistare prodotti ecosostenibili.

Gli italiani chiedono un prestito per andare in vacanza

Toglieteci tutto, ma non le vacanze… Sembra essere questo il desiderio degli italiani che, dopo anni un po’ complicati sul fronte della mobilità e della libertà, hanno sicuramente voglia di viaggiare. Tanti che i nostri connazionali, nel primo semestre del 2022, hanno richiesto prestiti personali per un valore di 160 milioni di euro proprio per concedersi una vacanza. Lo rivela una stima di di Facile.it e Prestiti.it in base a un sondaggio condotta su un campione rappresentativo della popolazione italiana dai 18 ai 74 anni per sesso, età, regione, classe d’ampiezza demografica dei comuni. La voglia di tornare a spostarsi era già stata rilevata dall’indagine, commissionata da Facile.it ad EMG Different, secondo cui il 27,5% di chi partirà farà un viaggio programmato prima del Covid ma rimandato a causa della pandemia, e questa tendenza trova conferma anche nell’aumento delle richieste di finanziamento tanto è vero che, come evidenziato dallo studio appena reso noto, nei primi 6 mesi dell’anno il peso percentuale dei prestiti per le vacanze è aumentato del 96% rispetto allo stesso periodo del 2021.

Identikit del richiedente
Dall’analisi, realizzata su un campione di oltre 70.000 domande di finanziamento raccolte nel primo semestre 2022, è emerso che chi ha presentato domanda di credito per pagare spese legate ad un viaggio ha cercato di ottenere, in media, 5.597 euro da restituire in 52 rate (poco più di 4 anni). Se si guarda al profilo del richiedente emerge che questa tipologia di prestito è particolarmente diffusa tra i giovani – altro dato legato alla ripresa dei matrimoni e relativi viaggi di nozze. Se, in media, chi si rivolge ad una società di credito in Italia ha 41 anni, quando si parla di prestiti per le vacanze, chi presenta domanda di finanziamento ha, sempre in media, 36 anni; un valore su cui pesano gli under 30, che oggi rappresentano circa il 35% della domanda.

Nel 75% dei casi il richiedente è uomo
Nel 75% dei casi a presentare domanda di finanziamento per viaggi e vacanze è stato un uomo, mentre se si analizza la posizione lavorativa del richiedente emerge che il 72% delle richieste arriva da un lavoratore dipendente a tempo indeterminato.

Per il vino italiano metà dell’export è in fascia ‘popular’

Il 75% delle bottiglie di vino fermo italiano destinate all’export non supera la soglia dei 6 euro, e solo il 5% esce dalle cantine a più di 9 euro al litro.
Di fatto, è il segmento popular, quello da 3-6 euro al litro, il più presidiato dal vino tricolore nel mondo, con quasi la metà dei volumi esportati, seguito dal basic (fino a 3 euro), con il 28%, dal premuim (da 6-9 euro), con il 20%, e ultimo il superpremium, quello da oltre 9 euro al litro.
Un posizionamento più basso non solo rispetto a competitor come Nuova Zelanda, Francia e Australia, ma anche sulla media mondiale degli scambi. Lo rileva lo studio dell’Osservatorio di Unione italiana vini (Uiv) realizzato in collaborazione con Vinitaly. 

Francia, Australia, Nuova Zelanda sono più ‘premium’

Pur in un contesto di crescita generale del prezzo medio, l’Italia, seconda potenza mondiale del vino, presenta ampi margini di crescita.
La dimostrazione è data dal posizionamento rispetto ai competitor del prodotto Made in Italy nei principali mercati internazionali.
Negli Stati Uniti solo il 26% dei nostri vini è in fascia premium o superpremium, poco più della metà rispetto ai vini neozelandesi (46%), e ancora meno rispetto la Francia, che domina con il 66% di premium o superpremium.
Ma non è solo la Francia, dove pure i rossi piemontesi si posizionano sugli stessi livelli dei Bordeaux, a sottostimare la qualità italiana. Anche in Cina si può fare meglio: con il 21% di prodotto quotato oltre i 6 euro/litro, superiamo Spagna e Cile, ma rimaniamo lontani da Francia (38%), e Australia (76%).

Seguire il modello dei rossi toscani 

Tutto ciò, nonostante il posizionamento dei rossi toscani, che nel segmento premium vedono l’80% delle proprie vendite, contro il 78% dei vini bordolesi e il 71% degli australiani.
Tra gli altri grandi mercati, prezzi medio-bassi anche per gli ordini da Uk e Germania, dove 8 bottiglie su 10 appartengono ai segmenti basic o popular, mentre in Canada le fasce più ambite sono appannaggio di vini statunitensi e francesi. Va meglio in Giappone, dove siamo secondi solo alla Francia.
È quindi necessario fare tesoro sui casi di alto posizionamento di alcune denominazioni piemontesi e toscane, un modello replicabile per molte altre doc che ambiscono al segmento premium.

Bollicine verso la fascia media

Grazie al prosecco il valore delle bollicine italiane è quasi quadruplicato negli ultimi 10 anni, superando nel 2020 la soglia dei 4 milioni di ettolitri. Un caso probabilmente unico tra i settori del Made in Italy che ora punta verso la sfida del ‘lusso democratico’.
Quello di occupare progressivamente la fascia media è un grande merito della spumantistica nazionale, in quanto ha creato un segmento di mercato prima inesistente.
La sfida dei prossimi anni sarà quella di provare a occupare anche la fascia premium, compresa tra 7 e 10 euro. A livello mondiale, infatti, solo il 13% delle vendite è in questo segmento, dove sono presenti per lo più champagne di ‘primo prezzo’.

Integratori: un mercato in crescita “grazie” alla pandemia

La pandemia ha avuto un impatto rilevante su molti comparti merceologici, e non sempre negativi. È il caso degli integratori: questi ultimi due anni hanno visto crescere negli italiani un maggiore investimento e attenzione alla propria salute.
“In questo scenario il ruolo di questi prodotti è diventato sempre più protagonista – spiega Giampaolo Falconio, Sales Lead di GfK Italia -: oggi 3 consumatori su 4 dichiarano che l’assunzione di integratori alimentari avviene in logica preventiva, come sostegno e supporto al proprio benessere psicofisico e un consumatore su 4 li reputa alternativi ai farmaci veri e propri”.
Inoltre, se negli ultimi 5 anni il mercato degli integratori alimentari è cresciuto più del 40%, in quelli a cavallo della pandemia la crescita è stata più del 10%. I dati Sinottica mostrano inoltre che nel corso del 2021 il consumo di integratori alimentari riguarda circa un italiano su 2.

Tenere sotto controllo il livello di ansia e rafforzare le difese immunitarie

Rafforzare le difese immunitarie è stata infatti una delle strategie per evitare il contagio da Covid-19. Ma la difficile condizione a livello sanitario, sociale ed economico, ha fatto emergere anche la necessità di tenere sotto controllo il livello di tensione, preoccupazione, e ansia. La crescita degli integratori conferma inoltre come target di primario interesse persone ben distribuite in termini di età, con una lieve preponderanza nel genere femminile, presenti su tutto il territorio nazionale, ma in misura più contenuta al Sud. Le loro condizioni socio economiche sono elevate così come elevato è l’investimento in termini di salute, dove si mostrano informate e competenti, interessate alle novità, spesso rappresentando un punto di riferimento per familiari e amici.

Aumentano le vendite sul canale digitale

Tra le categorie di integratori più utilizzati, sali minerali, multivitaminici e per il riequilibrio della flora intestinale. Ma negli ultimi due anni è aumentato l’utilizzo di due segmenti specifici, quello delle difese immunitarie (+20% circa) e quello per favorire sonno e relax (+15% circa).
Gli integratori vengono per la maggior parte assunti in specifici periodi dell’anno, attraverso cicli periodici di trattamento (78%). La farmacia si conferma il punto vendita preferito in assoluto per l’acquisto (più del 60% li acquista attraverso questo canale), ma colpisce l’aumento sensibile del canale digitale. Oggi un consumatore su 4 utilizza Internet anche per l’acquisto di questi prodotti, dato che vede un incremento del 15% rispetto a 5 anni fa.

Naturalità, prezzo, efficacia i driver di acquisto

La naturalità degli ingredienti rappresenta il principale driver di acquisto in assoluto. Per 8 consumatori su 10 un integratore deve essere il più naturale possibile. Altri importanti fattori di scelta sono il prezzo o la presenza di promozioni, l’efficacia, la facilità di assunzione. Quando si tratta di scegliere la tipologia di integratore da utilizzare si conferma poi la fiducia alle principali fonti del settore, come medico di famiglia e farmacista. Oltre a questi, un consumatore su quattro sceglie comunque gli integratori in autonomia, ricercando attivamente informazioni. La comunicazione, in tutte le sue forme, riveste quindi un ruolo centrale e risulta importante comprendere quali linguaggi utilizzare e quali mezzi di comunicazione attivare per raggiungere meglio il target.