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Efficientamento energetico: nel 2023 attira sempre meno famiglie

Negli ultimi 12 mesi solo l’11% delle famiglie italiane ha effettuato interventi di miglioramento o ristrutturazione volti a migliorare la classe energetica della propria unità abitativa. E addirittura il 50% non ha mai effettuato questo tipo di interventi e non ha in programma di farlo.
Chi lo fa fatto, ha indicato come motivazioni principali riduzione dei consumi energetici, miglioramento del comfort abitativo, utilizzo degli incentivi statali.

Sono alcuni dati della ricerca ‘Efficientamento energetico. La propensione delle famiglie italiane al rinnovamento e alla ristrutturazione della casa’, curata da Nomisma e presentata in occasione del XXIV Convegno nazionale di ANGAISA (Associazione Nazionale Commercianti Articoli Idrosanitari, Climatizzazione, Pavimenti, Rivestimenti e Arredobagno).

Costo medio e tipo di intervento più diffuso

Secondo la ricerca, il costo medio degli interventi realizzati è stato di circa 20.200 euro.
Si è trattato soprattutto di interventi finalizzati al miglioramento termico dell’edificio (71%), l’installazione di impianti di condizionamento (64%), l’implementazione di dispositivi di domotica e gestione dei consumi (45%) e l’installazione di pannelli solari/impianti fotovoltaici (31%). 

Il 75% delle famiglie che ha effettuato interventi negli ultimi 12 mesi ha fatto richiesta di detrazioni fiscali e bonus. Se non ci fossero stati gli incentivi, il 39% non si sarebbe attivato.
Fra quelli che invece non hanno realizzato investimenti di questo tipo, le principali motivazioni sono state quelle relative ai costi troppo onerosi (46%).

Le criticità riscontrate

Le maggiori criticità riscontrate durante gli interventi hanno riguardato soprattutto il ritardo nella consegna dei materiali o la difficoltà di reperirli (66%).
Ma è significativa anche la mancanza di operai e artigiani (24%) per la realizzazione delle opere e la ‘formazione non eccellente’ dei lavoratori nell’esecuzione dell’opera (21%).

I prossimi 12 mesi appaiono segnati da preoccupazioni, dubbi e incertezze per le famiglie italiane, condizionate, inevitabilmente, da una perdita del potere d’acquisto.
Non sorprende, quindi, che nel corso del prossimo anno sia solamente poco più di una famiglia su quattro a dichiarare di voler realizzare interventi di miglioramento o ristrutturazione dell’abitazione per migliorare la classe energetica.

Si conferma il ruolo essenziale dei bonus

Chi ha in previsione di intervenire, prevede un costo medio pari a 16.200 euro. Anche in questo caso sarebbero privilegiati interventi finalizzati al miglioramento termico dell’edificio, l’installazione di impianti di condizionamento e di pannelli solari/impianti fotovoltaici.

Resta confermato il ruolo essenziale dei bonus: la maggioranza di chi investirà (8 famiglie su 10), lo farà per l’esistenza dei bonus edilizi, sia pure in versione ‘light’. Quindi, da ecobonus e bonus casa, a cui si aggiungono gli incentivi regionali, il superbonus e il conto termico.
Di fronte a incentivi e bonus ridimensionati, e almeno in parte, depotenziati, 7 famiglie su 10 pensano di dover fare ricorso a un finanziamento. E tra coloro che l’hanno già utilizzato in passato, il 59% farebbe ricorso al credito al consumo.

Smart tv superano tv tradizionali: nel 2023 in Italia sono 21 milioni

Le Smart tv hanno superato le tv tradizionali. E dopo una progressione continua e ininterrotta durata circa 15 anni, le tv che si connettono anche via internet negli ultimi sette anni sono triplicate, passando da poco più di 7 milioni a 21 milioni (+13 milioni e 600mila).
Al contrario, le tv tradizionali si sono ridotte di 12 milioni e 100mila unità, arrivando a 20 milioni e mezzo.

Inoltre, sono 122 milioni i device presenti nelle case degli italiani, +2,2% nell’ultimo anno e +9,6% dal 2017 a oggi, per una media di circa cinque schermi per famiglia e oltre due schermi per individuo. Lo rivela il Sesto Rapporto Auditel-Censis, dal titolo ‘La nuova Italia televisiva’.

…e 97 milioni gli schermi connessi

La crescita degli schermi dipende esclusivamente dall’aumento di quelli connessi, che permettono di integrare i contenuti della tv lineare con l’offerta in streaming.
Nel 2023 sono 97 milioni gli schermi connessi, +31,7% negli ultimi sette anni e +4,4% nell’ultimo anno, per una media di quattro device per abitazione.

 “Nel 2023, 26 milioni e 300mila italiani, il 45,8% del totale, ha fruito di contenuti televisivi su piattaforme e siti web. Nel 2017 erano il 27% del totale e non raggiungevano 16 milioni – spiega Andrea Imperiali, presidente Auditel -. Sono quindi aumentati del 66,2% nei sette anni considerati, con una spinta decisiva nell’anno della pandemia, mantenuta anche negli anni successivi. Di fronte a una tale trasformazione dei consumi, che vede protagonisti sul palcoscenico globale grandi gruppi multinazionali, i broadcaster italiani non si sono fatti trovare impreparati, anzi”.

Televisori sempre più grandi e performanti

I salotti italiani somigliano sempre più a sale cinematografiche. I nuovi televisori infatti sono più grandi rispetto al passato: nel 2017 i televisori di 50 pollici o più erano meno di 2 milioni (circa il 4% del totale), ora sono oltre 6 milioni (14,1%). In sette anni sono triplicati.
Sempre più diffuso poi anche il 4K, televisore Smart con il quadruplo di pixel rispetto a quelli Full HD, presente in oltre 8 milioni di televisori (19%, tre anni fa erano l’11,2%).

Ma ai device connessi andrebbero aggiunti almeno altri due dispositivi smart che hanno fatto ingresso nelle case degli italiani negli ultimi dieci anni, smart speaker e smartwatch. Tra le funzionalità prevedono anche quella di seguire contenuti audio e video in streaming.

Ma 5 milioni e mezzo di famiglie usano solo lo smartphone

Oggi il 63,1% delle famiglie italiane (15 milioni e 400mila, +17,1% in 7 anni) vive in abitazioni che dispongono della Banda Ultra Larga. Accedono a internet tramite Adsl, fibra ottica o satellitare. Ma, come riporta Askanews, la strada da percorrere per raggiungere l’obiettivo stabilito dal PNRR all’interno della Strategia per la Banda Ultra Larga (connessioni a 1 Gigabit su tutto il territorio nazionale per tutti entro la fine del 2026) è ancora lunga.

Restano fuori dalla vita digitale 2 milioni e mezzo di italiani che non accedono a internet da casa: il 30,2% possiede solo una connessione mobile che non sempre ha velocità e capacità tali da supportare al meglio tutte le attività, e 5 milioni e mezzo di famiglie (22,4%) si collega solo con smartphone.

Essere single nel 2023 tra orgoglio e necessità di rassicurazione sociale

L’11 novembre si è festeggiato il Singles’ Day, nato in Cina per celebrare le famiglie composte da una sola persona. In Italia sono il 33% del totale, e un single su cinque ha meno di 45 anni.
L’Osservatorio Single, a cura del team qualitativo di Ipsos, inserisce questa nuova tendenza nella necessità di trascorrere più tempo da soli, un bisogno sentito dal 58% degli italiani.

In particolare, il 67% sostiene che fare attività da soli rende orgogliosi. Ma oltre al nuovo sentimento di empowerment e fierezza, emerge anche qualche ombra e necessità di rassicurazione sociale.
In ogni caso, si stima che nei prossimi 20 anni i single aumenteranno del 17%, del 9% i genitori single, mentre diminuiranno del 18% le coppie con figli.

Orgoglio single

Essere single oggi principalmente è sinonimo di orgoglio. I single nella contemporaneità sono percepiti come completi, indipendenti, sicuri e con la piena consapevolezza di sé e del valore del proprio tempo.
Prendersi momenti in solitaria è considerato un arricchimento del proprio valore, che alimenta il senso di autonomia e orgoglio. Il 67% delle persone sostiene che fare attività da soli rende soddisfatti (donne 74% vs 61% uomini).

In merito alle attività, i viaggi in solitaria risultano molto appealing: il 63% ritiene motivo di orgoglio viaggiare da soli, soprattutto le donne, per le quali è un’opportunità fondamentale per acquisire fiducia ed essere orgogliose (72% vs 57% uomini).

Ma solo è davvero cool?

Tale contesto incontra il successo delle app di dating. Strumenti e piattaforme di incontro sono sempre più percepiti come occasioni per connettersi e aprirsi all’altro. Il 50% degli intervistati e delle intervistate, sostiene che le app social e di incontri sono un’opportunità di valore per creare relazioni, amicizie e (non solo) incontri casuali.

Ma l’altro lato della medaglia racconta di sfide, incertezze, difficoltà economiche e rischio di isolamento.
L’inflazione e il caro vita infatti affliggono anche i single: il 45% afferma di avere difficoltà a mantenere il proprio tenore di vita, e l’83% sostiene che è importante pianificare i risparmi per affrontare il futuro.

Condividere le esperienze per viverle pienamente

Anche il viaggio assume un connotato diverso. Una persona su due dichiara che viaggiare è più costoso come singolo. E, al di là del portafoglio, risulta evidente anche un topic legato alla sicurezza e al timore del viaggiare in solitaria.

Il 47% delle persone intervistate dichiara che vorrebbe viaggiare in solitaria, ma pensa che sia pericoloso, soprattutto le donne (57% vs 40%). Inoltre, 8 persone su 10 affermano che avere qualcuno con cui condividere le esperienze sia essenziale per viverle appieno.
Importante poi il tema del benessere e la salute mentale, che può essere intaccata se si scivola nell’isolamento. Un rischio, in particolare, per chi vive da solo.

Responsabili marketing, come vedono il futuro?

Anche se il periodo che stiamo vivendo è di grande incertezze, in tutti gli ambiti, i responsabili del marketing guardano al futuro con ottimismo. Tanto che sono propensi ad investire in attività di costruzione del brand a lungo termine, tutelando il proprio budget.
Lo rivela il recente “CMO Outlook Report” di GfK, che evidenzia quanto i responsabili del marketing si affidino a nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale e gli insight in tempo reale. Tuttavia, il report mette in luce anche un notevole divario tra le aspettative dei marketer e quelle dei consumatori riguardo alla sostenibilità.

Attività a breve termine? No grazie

In un periodo di incertezza economica, i responsabili del marketing potrebbero essere tentati di concentrarsi sulle attività a breve termine che garantiscono risultati immediati, riducendo gli investimenti a lungo termine. Tuttavia, sebbene questo approccio tattico possa temporaneamente migliorare i bilanci, gli investimenti nella costruzione e nel mantenimento di un marchio forte tendono a ripagare nel lungo periodo. Fortunatamente, sembra che i responsabili del marketing abbiano abbracciato questo approccio.
Il nuovo report “CMO Outlook – Data, Decisions, and Optimism: How CMOs are driving change in an evolving world” di GfK mostra che, nonostante le crisi in corso, oltre i due terzi (70%) dei leader del marketing a livello internazionale investono oltre la metà del loro budget in iniziative a lungo termine, come campagne di costruzione del brand. Tra i CMO, questa percentuale sale al 78%.

Analizzando i dati per settore, i responsabili del marketing delle aziende di tecnologia dei consumatori (76%), dell’automotive (76%) e del retail (74%) sono quelli che puntano di più sulle strategie di costruzione del marchio a lungo termine. Anche le aziende B2B sono particolarmente orientate agli investimenti a lungo termine.

Ottimismo per quello che verrà

Nonostante la crisi, la fiducia nel futuro rimane elevata: quasi tre quarti dei responsabili del marketing dichiarano che la propria azienda è cresciuta negli ultimi tre anni. Ancora più alta (78%) è la percentuale di coloro che si dichiarano ottimisti rispetto al futuro.
Questi marketer ottimisti sono anche quelli che si concentrano maggiormente sulle azioni di costruzione del marchio a lungo termine (77%), suggerendo un legame tra ottimismo e investimenti protrati nel tempo.

La maggior parte dei responsabili del marketing mostra anche una notevole fiducia nei propri budget. A livello internazionale, quasi due terzi dichiarano di essere in grado di giustificare facilmente le proprie esigenze finanziarie, soprattutto in Nord America ed Europa. I marketer particolarmente ottimisti dichiarano di non avere problemi a finanziare le proprie spese di marketing.

Insight in tempo reale per ottimizzare le campagne

I CMO europei si distinguono per l’utilizzo degli insight in tempo reale. L’analisi dei dati e degli insight sui consumatori sta diventando sempre più importante per ottimizzare le campagne. Il 61% dei responsabili del marketing dichiara di ricevere insight operativi immediatamente dopo la raccolta dei dati o in tempi brevi, mentre solo il 3% ritiene che la generazione di insight richieda troppo tempo per essere utile.

Le aziende più grandi sembrano avere un vantaggio, con una maggiore percentuale di insight generati in tempo reale. L’Europa è in testa, con il 33% dei marketer che afferma di ricevere insight in tempo reale, rispetto alla media globale del 26%. 

Intelligenza artificiale e sostenibilità 

L’intelligenza artificiale sta trasformando il modo di lavorare nel settore del marketing. Quasi la metà dei CMO a livello mondiale (45%) afferma di utilizzare già l’IA, mentre il 40% conosce o utilizza i modelli di machine learning. L’adozione di ChatGPT è stata rapida, con il 36% degli intervistati che lo utilizzava già a marzo 2023.
Inoltre, i marketer che lavorano in aziende più grandi sono più familiari con questa tecnologia e sono più propensi a essere early adopter rispetto a quelli che lavorano in aziende più piccole.

Tuttavia, sembra che i responsabili del marketing stiano deludendo il proprio pubblico in materia di sostenibilità. Dopo un’estate segnata da eventi meteorologici estremi, la sostenibilità è diventata una parte importante dell’agenda dei CMO, ma solo il 30% degli intervistati pensa che i loro consumatori si aspettino che si occupino di sostenibilità.
In generale, i responsabili del marketing devono tenere presente che qualsiasi impegno per l’ambiente e il clima deve essere autentico e a lungo termine per essere credibile per i consumatori.

Aumenta il ransomware nel 2023: come proteggersi dagli attacchi?

Nella prima metà del 2023, a livello globale si è assistito a un preoccupante aumento degli attacchi ransomware, con una crescita di ben il 27%. A causa di questi reati informatici, le aziende hanno subito perdite medie di 365.000 dollari. Christian Maggioni, executive managing director & equity partner di Altea 365 e chief information security officer di Altea Federation, condivide alcune preziose raccomandazioni per limitare il rischio di attacchi ransomware sempre più frequenti.

Le mosse preventive

Ecco alcuni consigli degli esperti per mettersi al riparo dagli attacchi. Innanzitutto abilitare l’autenticazione a più fattori (MFA), che può fornire un livello aggiuntivo di sicurezza. Richiede infatti ai dipendenti di fornire ulteriori informazioni oltre alle password per accedere ai sistemi. In secondo luogo, bisognerebbe creare almeno tre copie di backup dei dati in due formati di file diversi. Questi backup possono essere utili nel ripristinare i dati in caso di attacco ransomware.
Infine, fare gli aggiornamenti. Mantenere i sistemi operativi e il software costantemente aggiornati è essenziale per ridurre le vulnerabilità che gli hacker potrebbero sfruttare per entrare nei sistemi. Un ulteriore consiglio sempre utile è quello di controllare attentamente le email prima di aprirle per evitare di scaricare allegati o link sospetti che potrebbero contenere malware.

Gestire un attacco

In caso di richiesta di riscatto dopo un attacco ransomware, l’esperto consiglia di mantenere la calma. Molte aziende dispongono di sistemi di backup efficienti che mantengono i dati al sicuro. Questo consente di procedere rapidamente con il ripristino dei dati senza particolari problemi.

I 5 principali pericoli per le aziende nel 2024

Secondo un nuovo report riportato da Infosecurity Magazine, nel 2024 ci sono 5 principali minacce informatiche che le aziende dovranno affrontare.

Al primo posto, il ransomware. Gli attacchi ransomware sono una seria minaccia, in cui i malintenzionati entrano nelle reti aziendali e crittografano i file digitali, chiedendo un riscatto in criptovaluta per sbloccarli.
Poi, il phishing e BEC (Business Email Compromising). Gli attacchi di phishing sono comuni, ma i BEC sono più pericolosi, consentendo ai cybercriminali di prendere il controllo delle caselle di posta elettronica aziendali per compiere azioni dannose.
Al terzo posto ci sono i Denial of Service (DoS): sono attacchi che impediscono alle aziende di erogare servizi ai propri clienti, a volte per ragioni geopolitiche.
Un altro pericolo è strutturale. Si tratta della carenza di professionisti della sicurezza. La mancanza di esperti in sicurezza informatica ha contribuito all’aumento delle violazioni, con le aziende “scoperte” in questo ambito che diventano bersagli principali.
Infine, c’è un rischio sommerso e spesso sottovalutato: è l’esfiltrazione dei dati. I dati rubati possono essere utilizzati per ulteriori frodi e portare a sanzioni fino al 4% del fatturato dell’azienda per violazioni della legge sulla privacy.

In un panorama di minacce crescenti, la sicurezza informatica diventa una priorità aziendale essenziale per proteggere i dati e gli interessi delle aziende.

Pagamenti digitali, raggiunto (quasi) il valore di quelli in contanti

Nel primo semestre del 2023, l’uso dei pagamenti digitali in Italia ha continuato a crescere, raggiungendo un valore complessivo di 206 miliardi di euro. Questo rappresenta un aumento del 13% rispetto allo stesso periodo del 2022. Sebbene l’impulso dato dalla pandemia stia gradualmente diminuendo, si prevede che alla fine dell’anno il totale dei pagamenti digitali possa oscillare tra i 425 e i 440 miliardi di euro, cifra leggermente inferiore al totale dei pagamenti in contanti.

Questi dati emergono dall’edizione semestrale dell’Osservatorio Innovative Payments della School of Management del Politecnico di Milano, presentata durante il Convegno “I pagamenti digitali in Italia nel 2023”.

La pandemia ha innescato l’accelerazione 

La pandemia ha spinto gli italiani verso l’utilizzo di modalità di pagamento digitali, riducendo l’uso di contanti. Questo ha dato una spinta significativa al settore dei pagamenti elettronici, che prima si trovava in ritardo rispetto ad altri paesi europei. Tuttavia, la crescita dei pagamenti digitali nel primo semestre del 2023 è stata del 13%, tornando a livelli più simili a quelli precedenti alla pandemia (con una crescita media annua del 10,5% nel periodo 2016-2019).
Il numero di transazioni effettuate è aumentato del 17,6%, raggiungendo 4,5 miliardi, ma il valore medio delle transazioni è sceso a 45,7 euro, circa due euro in meno rispetto all’anno precedente.

Le modalità di pagamento cashless

I pagamenti con carta di tipo “contactless” hanno superato i 100 miliardi nel primo semestre 2023, con una crescita del 25%, sebbene a ritmi più lenti rispetto al passato. Questo suggerisce che questa modalità di pagamento sta raggiungendo la sua maturità, con una penetrazione del 70% nei pagamenti fisici con carta.

Il mercato dei Mobile & Wearable Payment, che comprende transazioni effettuate tramite smartphone e dispositivi indossabili nei negozi, continua a crescere in modo impressionante, con un transato di 12,2 miliardi di euro (+97%) e 450 milioni di transazioni (+108%) nel primo semestre.

In Italia, sono presenti oltre 3 milioni di terminali POS (uno ogni 20.000 abitanti), il che rende il nostro paese uno dei leader europei in termini di accettazione dei pagamenti con carta. Tuttavia, nuovi strumenti come i Mobile POS e gli Smart POS stanno gradualmente sostituendo il POS tradizionale, offrendo maggiore flessibilità e integrazione.

Cresce il Buy Now Pay Later

Il settore “Buy Now Pay Later” ha visto una crescita anche nell’ultimo anno, ma le sfide macroeconomiche e i timori legati al debito dei consumatori stanno portando i fornitori di questi servizi a cercare modi più sostenibili per gestire il loro business, come la revisione delle tariffe e la diversificazione dell’offerta.

Infine, l’uso crescente dei pagamenti digitali potrebbe contribuire a combattere l’evasione fiscale in Italia, poiché i pagamenti con carta sono più tracciabili rispetto ai contanti. Secondo l’Osservatorio Innovative Payments, il 35,3% del denaro in contanti non viene dichiarato, e la riduzione dell’uso del contante potrebbe ridurre significativamente questa evasione fiscale, incoraggiando gli esercenti a dichiarare correttamente le transazioni.

I medici italiani sono esausti: lavorare nel Ssn è sempre più faticoso

Turni di lavoro lunghissimi, carenza di personale, scarsa sicurezza negli ospedali, compensi troppo bassi: per oltre 8 medici italiani su 10 lavorare nel Servizio sanitario nazionale è sempre più difficile, e l’89% di loro ritiene di non essere pagato abbastanza. Inoltre, per il 57% dei medici il carico di lavoro negli ospedali è aumentato, ma solo nel 27% dei casi è stato assunto nuovo personale. Tanto che se nel 2020 l’ostacolo principale per i camici bianchi era la burocrazia nel 2022 è la mancanza di personale (35%). Lo scenario è quello di un’insoddisfazione per la propria situazione economica. Per quanto apprezzino ancora il loro lavoro, solo il 60% dei medici sceglierebbe nuovamente questa professione.
È quanto emerge dall’indagine Univadis Medscape Italia, il portale di informazione per i professionisti della salute.

In ambulatorio si guadagna di più

“I medici italiani guadagnano in media 60.000 euro l’anno, ma esiste una grande differenza tra gli ospedalieri e chi opera soprattutto in ambulatorio, inclusi i medici di medicina generale – spiega Daniela Ovadia, direttrice di Univadis Medscape Italia e autrice del report -. Se per i primi si arriva in media a 56.000 euro l’anno, chi riceve pazienti in ambulatorio ne guadagna fino a 79.000, ben 23.000 euro in più. Le donne poi sono una categoria che viene ulteriormente penalizzata: in media guadagnano circa 20.000 euro all’anno in meno dei colleghi uomini, con l’aggravante di pagare spesso anche il conto più salato in termini di equilibrio tra vita privata e professionale”.

I giovani scelgono di lavorare all’estero

“La pandemia da Covid-19 ha portato a vari cambiamenti negli orari e nei salari, ma non è più la principale fonte di problemi all’interno degli ospedali. Le cause sono più strutturali e organizzative: c’è carenza di personale, bassa sicurezza per i medici, aumento delle aggressioni, diminuzione dei benefici, mentre gli stipendi restano sempre uguali. La conseguenza è che sempre più medici, soprattutto i più giovani, sono spinti ad andare a lavorare all’estero – aggiunge Ovadia -. Oppure, per ovviare alle difficoltà, si guarda alla sanità privata, un settore che attira sempre maggiore attenzione (32%)”.

La relazione con i pazienti è ancora motivo di gratificazione

A compensare almeno in parte il sentiment negativo rimane l’importanza della relazione con i pazienti, che per il 31% del campione resta uno degli aspetti più gratificanti del proprio lavoro. Altri motivi di soddisfazione personale sono la consapevolezza della propria bravura (26%), l’aver contribuito a rendere il mondo un posto migliore (12%) e l’orgoglio di essere medico (9%).
Rispetto all’indagine del 2020, riporta Adnkronos, un altro aspetto degno di nota è quello relativo alla telemedicina. Se nel report precedente si registrava scetticismo rispetto all’utilizzo dei nuovi strumenti digitali ora è in netta crescita chi utilizza strumenti di telemedicina (36%) e ne è soddisfatto (71%). E il 20% prevede di estendere la telemedicina alla teleconsultazione.

Intelligenza artificiale: le Pmi non investono, solo il 2% lo fa

Nonostante l’Intelligenza Artificiale nel nostro Paese sia protagonista di un ampio dibattito, e nonostante le sue potenzialità, dalle nostre aziende l’AI rimane ancora scarsamente utilizzata. In particolare, dalle imprese di minori dimensioni. Solo il 2% delle nostre Pmi con almeno 10 dipendenti dichiara infatti di aver investito in IT tra il 2019 e il 2021. Percentuale che sale al 10% considerando l’investimento in AI congiuntamente a quello effettuato nella tecnologia che costituisce il presupposto della sua adozione, i Big Data. È quanto è emerso durante i lavori del workshop ‘Transizione ecologica e digitale, politiche per il lavoro e imprese’, organizzato dall’INAPP (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) in cui sono stati presentati i nuovi dati della VI Rilevazione Imprese e Lavoro (RIL), condotta nel 2022 su un campione rappresentativo di circa 30mila aziende italiane.

Dati che riflettono l’eterogeneità del nostro sistema imprenditoriale

Si tratta di evidenze che cambiano significativamente in funzione della dimensione di impresa, della collocazione geografica e del settore di attività. La quota che adotta l’AI varia dall’1,5% nelle piccole aziende (con meno di 50 dipendenti) al 12% di quelle con oltre 250 dipendenti, dal 7% nel comparto dei servizi ad alta tecnologia all’1.2% nei servizi meno qualificati. La diffusione dell’AI, con tutto quello che ne consegue, non solo è perciò agli inizi, ma riflette anche una forte complementarità con le altre tecnologie digitali, quindi, una sostanziale eterogeneità del nostro sistema imprenditoriale.

Siamo ancora alla discussione tra “apocalittici e integrati”

“Mentre nel nostro Paese sull’Intelligenza artificiale siamo ancora alla discussione tra ‘apocalittici e integrati’ – afferma Sebastiano Fadda, presidente INAPP – i principali competitor investono convintamente in quest’area, destinata a migliorare i processi produttivi e l’organizzazione del lavoro. A oggi il primo gap che caratterizza le Pmi è senza dubbio la mancanza di cultura e di competenze in materia: sanno che l’Intelligenza artificiale esiste, ma ancora non sanno come utilizzarla per migliorare le proprie performance. Per molte si tratta di partire proprio dalle basi, ovvero dalla trasformazione digitale e dalla utilizzazione dei Big Data”. 

L’AI viene associata al forte aumento delle spese in formazione

Le analisi mostrano poi che l’investimento in AI di per sé non produce alcun effetto significativo sulla domanda di lavoro, mentre quando è effettuato in aggiunta agli investimenti in Big Data e robotica è correlato a un leggero incremento (+0.7%) della quota di posto di lavoro richiesti.
L’AI è associata infatti a un forte aumento delle spese in formazione professionale finanziate dalle imprese, riporta Italpress, anche se si considera l’AI in assenza delle altre tecnologie (+13%). Ciò supporta l’ipotesi che almeno per adesso la trasformazione dell’AI stia procedendo più all’interno delle aziende che nel ‘mercato’.

Tecnologia: i consumatori vogliono prodotti innovativi ma sostenibili

In paesi come Italia, Spagna, Germania, Regno Unito e Francia il 77% dei consumatori è alla ricerca di prodotti tecnologici che consentano di risparmiare energia. Non solo per una questione economica, ma anche per la tutela dell’ambiente. Il 67% dei consumatori ritiene invece importante che il proprio dispositivo sia in grado di connettersi a un’applicazione che consenta di monitorare e ridurre il consumo energetico. Si tratta di alcune evidenze emerse dalla nuova ricerca che lega innovazione e ambiente condotta da Samsung in collaborazione con l’agenzia Opinium.

Risparmio energetico: una piattaforma che ottimizza l’energia utilizzata dagli elettrodomestici  

La nuova ricerca è stata presentata in occasione dell’Ifa di Berlino, la fiera europea delle novità tecnologiche che si è tenuta da venerdì 1 settembre a martedì 5 settembre presso l’International Congress Center (ICC) della capitale tedesca. Sempre durante l’edizione numero 99 della Internationale Funkausstellung, il colosso coreano ha svelato il nuovo ecosistema SmartThings, la piattaforma installata sui dispositivi Galaxy che permette di gestire accessori per la casa connessa.
“Con l’aumento dei prezzi dell’energia in tutta Europa, il 72% degli intervistati si dichiara preoccupato per il costo degli elettrodomestici in funzione – ha commentato da Berlino Aimee Holloran, Business Development Manager di Samsung -. Per contrastare questo fenomeno, SmartThings Energy mira ad aiutare a ottimizzare l’energia utilizzata dagli elettrodomestici, in base alle effettive esigenze, riducendone i consumi”.

Cucina e alimentazione: ricette personalizzate grazie all’Intelligenza artificiale

Secondo Samsung, l’app conta oltre 285 milioni di utenti registrati e presto si arricchirà di nuove funzionalità, come Samsung Food, per cercare, condividere e salvare nuove ricette, pianificare i pasti, cucinare e fare la spesa. Grazie all’Intelligenza artificiale, Samsung Food fornirà ricette personalizzate per rispecchiare le diverse esigenze alimentari degli utenti.

Sicurezza: i vantaggi della tecnologia smart per la difesa di ambienti e persone

Ma a Berlino per Samsung è stata l’occasione per dare spazio anche ai prodotti. È in arrivo infatti The Freestyle 2nd Generation, un proiettore portatile che offre l’esperienza di un grande schermo ovunque. Ma sono in arrivo anche nuovi formati per i televisori top di gamma del gruppo, riporta una notizia Ansa. In ogni caso, dalla ricerca di Samsung emerge come in termini di sicurezza, controllare la casa mentre si è assenti (54%), sentirsi più sicuri quando si è a casa da soli (39%) e tenere al sicuro la propria famiglia quando si è fuori (39%) sono considerati i principali vantaggi della tecnologia smart per la difesa di ambienti e persone care.

Mutui impossibili, affitti insostenibili: è emergenza casa

Redditi inadeguati e continua erosione del risparmio rischiano di rendere mutui e affitti insostenibili per molte famiglie italiane. Occorre quindi immaginare un abitare più evoluto e plurale, attento a bisogni, desideri e possibilità reali delle famiglie, meno standardizzato e incapace di dare una risposta alle esigenze abitative.  Sono alcune evidenze emerse da Sguardi familiari sull’Abitare 2023, l’analisi presentata da Nomisma all’interno del 16° Rapporto sulla Finanza per l’Abitare.
L’indagine di Nomisma analizza due tipologie di nuclei familiari per i quali la casa è una priorità assoluta: le famiglie-mono, persone sole con meno di 45 anni oppure di età compresa tra 45-69 anni, 70 anni o più, o genitori soli con figli, e le famiglie-pluri, ovvero con figli minori, con persone non autosufficienti, e nuclei numerosi.

I fattori di fragilità delle famiglie

Nel 2023 quasi la metà dei nuclei dichiara che le proprie disponibilità economiche sono appena sufficienti a far fronte alle spese primarie. In questo scenario, l’acquisto della casa è diventato un miraggio per una crescente porzione di italiani. Tra le famiglie numerose, una su 5 non ha i requisiti per l’accesso al credito, valore quasi triplo rispetto al 7,5% della media del campione. Percentuali più alte rispetto alla media si registrano anche per le famiglie con figli minori (13,1%) e persone sole under45 (10,7%).  Questo spiega la flessione della propensione all’acquisto di abitazioni, che coinvolge il 12% delle famiglie rispetto al 13,3% nel 2022. Inoltre, l’indagine evidenzia anche la minore propensione a ricorrere a un mutuo, passata dall’83% nel 2022 al 78% nel 2023.

L’alternativa dell’affitto è sempre più onerosa 

Poiché il sistema Paese non è riuscito a programmare un’offerta adeguata per far fronte a una maggiore e più attenta richiesta abitativa, specialmente in termini di social housing, molte famiglie restano intrappolate nell’affitto e condizionate dall’aumento dei canoni di locazione. Che, specie nelle grandi città, hanno raggiunto livelli non facilmente sostenibili rispetto alla capacità reddituale delle famiglie. La quota di famiglie che prevedono nei prossimi 12 mesi di incontrare difficoltà nel pagamento del canone di locazione si è ampliata dal 31,4% al 34,8%.

Proprietari meno propensi alla locazione tradizionale

Proprio i maggiori rischi di insolvenza e le logiche di mercato, condizionate anche dal fenomeno degli affitti brevi, stanno inducendo sempre più proprietari a una minore propensione verso la locazione tradizionale. Nell’ultimo anno la quota di chi prevede di dare in locazione le proprie abitazioni con affitti a medio termine è passata dal 17,7% al 10,5%, allineandosi alla componente rivolta agli affitti brevi (10,2%). L’indagine conferma quindi due diverse componenti: in 1 caso su 3 l’affitto è una scelta motivata da esigenze familiari e lavorative, mentre la maggioranza delle famiglie considera l’affitto una soluzione temporanea o obbligata, perché al momento non sussistono le condizioni economiche per un acquisto. Per quanto riguarda le intenzioni ad affittare un’abitazione, sono principalmente le persone sole sotto i 45 anni quelle caratterizzate da elevato interesse, affiancate dalle famiglie ‘sandwich’ e da quelle numerose.